«Il no degli agricoltori al fotovoltaico lascia lo spazio alle multinazionali»

IL DIBATTITO
L’avanzata del fotovoltaico, indispensabile per “decarbonizzare” l’energia e ridurre le tanto temute emissioni in atmosfera aumentando la quota di fonti rinnovabili, accelera con i nuovi progetti di parchi fotovoltaici proposti in Veneto. Nell’ultimo anno sono una decina i progetti che puntano all’installazione di pannelli fotovoltaici su grandi appezzamenti di terreno, anche superiori ai 50 ettari.
Oggi sono poco meno di 800 gli ettari di superficie occupati dai pannelli a terra: se queste iniziative andassero tutte in porto arriveremmo a circa mille ettari. Un prezzo troppo alto da pagare in termini di consumo del suolo per una tra le regioni più cementificate d’Italia? Oppure una scelta necessaria per raggiungere gli obiettivi fissati dalla transizione ecologica sulle energie rinnovabili?
Dopo le preoccupate osservazioni dei tecnici dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che invitano a non sacrificare suolo fertile, e il secco no degli agricoltori di Coldiretti contro i parchi fotovoltaici il dibattito è più aperto che mai.
«È un tema troppo importante per ridurlo ad una mera battaglia ideologica» mette però in guardia Marino Berton, che alle energie rinnovabili e all’efficienza energetica ha dedicato la sua vita professionale. Per vent’anni, fino allo scorso giugno, ha diretto l’Aiel, l’Associazione italiana energie agroforestali, che ha messo insieme la filiera del legno come fonte energetica, inoltre ha fondato il “Coordinamento Free” (qui sta per “Fonti rinnovabili ed efficienza energetica”), una realtà che raggruppa venti fra le più importanti associazioni in Italia, per un’azione globale su questo fronte. Da addetto ai lavori nel vasto campo della politica energetica Berton invita a non creare pericolose divisioni sul fronte del fotovoltaico. «Stiamo parlando delle soluzioni per affrontare un problema enorme come il cambiamento climatico che ci investe a livello planetario» ricorda «perché abbiamo il dovere di mitigare il nostro impatto cambiando stili di vita e di produzione energetica. L’Europa ha fissato degli obiettivi ben precisi sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica entro il 2030 e siamo ben al di sotto della tabella di marcia. Fonti come l’eolico e il fotovoltaico vanno moltiplicate, non combattute. Dobbiamo dire che vogliamo il fotovoltaico “fatto bene”, purtroppo invece sta avanzando la teoria del no a prescindere. È solito modo di ragionare all’italiana, controproducente e poco lungimirante. Non funziona l’approccio che fa solo un pezzo del ragionamento, invece che raccogliere le firme contro il fotovoltaico e demonizzare l’intero settore cerchiamo di capire come farlo bene».
Di fronte alla preoccupazione degli agricoltori che denunciano la sottrazione di terreno sacrificato ai pannelli Berton invita a fare un passo avanti. «Non serve a nulla difendere il proprio giardino se l’intera casa va a fuoco» aggiunge «perché l’agricoltura sta pagando il prezzo più alto del cambiamento climatico. Dobbiamo interrogarci su cosa può fare l’agricoltura, a questo proposito il governo ha deciso di sviluppare e incentivare strategie di coesistenza tra fotovoltaico e il settore primario, stanziando denaro che va alle aziende agricole e non alle multinazionali. Quindi se non vogliamo lasciare spazio solo ai grandi investitori che hanno ingenti capitali a disposizione dobbiamo giocare un ruolo attivo e sviluppare l’agro fotovoltaico. Ci sono delle belle esperienze in giro per l’Europa».
Per Berton il fotovoltaico deve diffondersi ovunque, dove è possibile, dai tetti di abitazioni e capannoni, a quelli dei parcheggi e delle aree industriali, anche sui bacini in versione galleggiante. «Però queste superfici non bastano, per questo serve che anche l’agricoltura faccia la sua parte. Ovviamente non si possono piantare pannelli sui vigneti del prosecco o in altri terreni vocati, ma ci sono degli impianti che si possono coniugare anche con l’attività agricola. Ci sono pannelli posti a due metri e mezzo da terra, su pali dotati di impianti di inseguimento del sole, che pertanto non lasciano il terreno sempre in ombra e permettono perciò di coltivarlo. Un impianto fotovoltaico non è come una zona industriale cementata in maniera permanente. Ma proprio per non lasciare spazio alle multinazionali e ai grandi progetti l’agricoltura deve credere nel fotovoltaico, negli impianti a misura di azienda, sostenibili e ormai indispensabili». —
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