Il pentimento di «faccia d’angelo» e la vendetta del numero due

VENEZIA. Silvano Maritan non ha mai digerito che a «incastrarlo» per la sua partecipazione ai blitz che hanno portato agli omicidi dei fratelli Rizzi e di Ottavio Andrioli sia stato il suo boss,...
Di Giorgio Cecchetti

VENEZIA. Silvano Maritan non ha mai digerito che a «incastrarlo» per la sua partecipazione ai blitz che hanno portato agli omicidi dei fratelli Rizzi e di Ottavio Andrioli sia stato il suo boss, Felice Maniero. In carcere c’è finito nel 1991 e, a parte un breve intervallo di pochi mesi, ne è uscito soltanto nel marzo scorso per scontare gli ultimi mesi (il termine è il prossimo giugno) in una casa famiglia di Feltre. Dunque, 25 lunghi anni durante i quali ha girato numerosi penitenziari e da quelle città sono arrivate ai giornali, almeno nei primi dieci anni, lettere e lettere di molte pagine scritte dall’ex capo della malavita sandonatese, dove accusava «Faccia d’Angelo» di aver compiuto alcuni omicidi: lui diceva almeno sette, per la maggior parte di elementi della banda che avevano tradito o fatto la cresta sugli incassi di droga e rapine. Omicidi che Maniero non avrebbe mai confessato, diceva Maritan, il quale accusava anche il pubblico ministero che aveva raccolto le sue dichiarazioni, il sostituto procuratore antimafia Antonio Fojadelli poi divenuto procuratore capo a Vicenza e infine a Treviso, di averlo coperto e favorito. In effetti, Maniero di alcuni omicidi che aveva ordinato di compiere o ai quali aveva partecipato, nelle prime e lunghe confessioni, aveva evitato di parlare. Quando, poi, altri appartenenti della banda hanno deciso di seguire la sua strada, collaborando, ha aggiunto, spiegando che fino a quel momento aveva taciuto per proteggere e tenerne fuori il cugino Giulio Maniero, visto che ne era stato il responsabile o comunque aveva coperto l’azione di chi aveva sparato.

Maritan, dal carcere, dove è rimasto per poco meno di 25 anni, è uscito prima della scadenza perché i giudici del Tribunale di sorveglianza, accogliendo le istanza del suo difensore, hanno definito il suo comportamento carcerario all'interno dei penitenziari dove è stato rinchiuso di «buona condotta». Adesso Maritan ha 69 anni, buona parte dei quali trascorsi in una cella anche con accuse pesantissime. Nel 2007 aveva ottenuto la liberazione anticipata, anche allora grazie al suo comportamento in carcere e all'indulto, ma nel gennaio dell'anno successivo era stato pizzicato nuovamente a trafficare in cocaina ed era stato nuovamente arrestato. Era stato accusato di aver organizzato almeno tre viaggi di persone incensurate per far arrivare la droga a San Donà. In un caso era stato un giovane spagnolo in contatto con un altro pregiudicato sandonatese della corte di Maritan, Luca Fregonese. In un secondo viaggio, due donne, una casalinga e una studentessa di San Donà direttamente provenienti dalla Spagna e il terzo, due giovani. Tutti con la cocaina nascosta in macchina, complessivamente tre chili e mezzo di sostanza stupefacente e a «incastrare» il vecchio boss le telefonate, perché, nonostante l'esperienza, Silvano parlava apertamente al telefono di droga e di come farla arrivare nel Veneto Orientale. Difficile, per lui, trovare un lavoro e aveva ricominciato a vivere come un tempo.

In primo grado, nonostante lo sconto di un terzo per aver scelto il rito abbreviato, era stato condannato a 14 anni di reclusione, ridotti nel 2010 a undici anni. Per ottenere di uscire dal carcere, questa volta Maritan ha dovuto rinunciare a tornare nel suo paese d'origine, dove ha compiuto la maggior parte delle sue imprese criminali. Soltanto così, il Tribunale di sorveglianza ha accolto le richieste del suo difensore.

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