Il poliziotto che lo arrestò: «Sensibile e cinico, ma fu un duello leale»

Michele Festa, sostituto commissario alla squadra mobile di Verona, racconta il boss Felice Maniero che arrestò nel 1994 a Torino
Il boss Felice Maniero
Il boss Felice Maniero
VENEZIA.
Sensibile e nello stesso cinico, apparentemente autonomo nelle decisioni ma fortemente condizionato dalle figure femminili della sua vita, in particolare dalla madre. Così Michele Festa, sostituto commissario alla squadra mobile di Verona, racconta il boss Felice Maniero, da oggi uomo libero, che arrestò nel 1994 a Torino, quando era un investigatore della Criminalpol di Venezia, dopo l'evasione dal carcere di Padova.


Ride ancora Festa raccontando il dialogo, sul filo dell'ironia, che accompagnò la cattura del boss. «Ancora tu?» disse Maniero vedendo l'investigatore, che gli rispose, citando la canzone di Battisti: «ma non dovevamo vederci più?». «Una persona complessa - lo ricorda Festa - autonoma ma anche condizionabile dalle figure femminili, in particolare dalla madre». Per il poliziotto, «tutto quello che Maniero ha fatto nel passato non è mai stata una sua decisione, ma sulla spinta di altri, donne soprattutto».


Festa ricorda di averlo conosciuto nel '92 quando da Avellino venne trasferito alla questura di Venezia: «il mio battesimo investigativo - sottolinea - l'ho avuto con lui». Maniero uomo dai due volti, capace di parlare sino allo sfinimento, quasi a esorcizzare l'ansia che lo faceva dormire poche ore per notte, e poi di dare spazio ad un cinico silenzio. Boss umano nella sua crudeltà ma razionale nella spietatezza.


Su chi abbia raccolto oggi l'eredità di Maniero, Festa ha le idee chiare. «Nessuno della mala del Brenta di estrazione padovana, violenta e priva di qualunque raffinatezza - spiega -. Piuttosto la parte veneziana dei suoi "eredi", più specializzata nella droga e nelle case da gioco». «Non ricordo abbia mai manifestato alcun rancore nei miei confronti - conclude - e mai lo fece con altri».

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