IL TEMA DELL’UGUAGLIANZA TRA LA DESTRA E LA SINISTRA
Tanto è stato detto e tanto ancora si dirà, non solo da parte dei protagonisti a livello politico ma anche da parte di commentatori e opinionisti, sulla vicenda che l’Italia sta vivendo dopo le elezioni del 4 marzo. C’è un punto però che rischia di passare in secondo piano, di carattere così ampio da apparire non affrontabile né in un dibattito televisivo né in un intervento giornalistico. Eppure, è un punto concettualmente fondamentale.
Quel punto si riassume in una dichiarazione che anche in questi giorni sentiamo ripetere ad esempio da Matteo Salvini, ma che è ricorrente anche nelle narrazioni di area M5S: la distinzione tra destra e sinistra non è più valida per capire e per scegliere da che parte stare politicamente.
Le categorie destra/sinistra sono state ritenute fondamentali per definire l’articolazione interna dello spazio politico per un paio di secoli, ma sono diventate oggetto di riflessione critica da almeno venticinque anni. Il saggio di Norberto Bobbio su questo argomento è uscito nel 1994, tanto per individuare una data significativa nel dibattito italiano. Quella riflessione critica, che spesso è diventata autocritica, marca la crisi della sinistra europea. Sembra tuttavia che debba partire da qui un’analisi meno superficiale di quel fenomeno che chiamiamo sbrigativamente (e superficialmente) “populismo”. Perché non è solo la critica alla democrazia rappresentativa la cifra di questo fenomeno così vistoso e inedito dalle nostre parti. La crisi della rappresentanza nelle democrazie occidentali europee si salda con la contrapposizione del “popolo” alle cosiddette élite non solo politiche (la “casta”) ma anche economiche e sociali. A partire dalla crisi finanziaria innescatasi con il 2008 e da cui faticosamente l’Europa (ma non ancora l’Italia) sta uscendo, e altrettanto gli Usa, sono aumentate in modo vistoso le disuguaglianze tra ceti, e tra le generazioni, all’interno delle società che esprimono quelle democrazie. Non solo, anche se forse prevalentemente, in conseguenza del fenomeno della prorompente dinamica di globalizzazione dei mercati e della divisione del lavoro, per dir così, a livello internazionale, non adeguatamente regolata la prima e priva di risposte adeguate in Occidente la seconda.
Non sarà allora un caso se al centro dell’analisi di Bobbio stava, sin da allora, proprio il tema dell’uguaglianza, individuato come l’elemento discriminante tra destra e sinistra nella società. Viene allora spontaneo domandarsi se le forze politiche della sinistra più o meno socialdemocratica europea non abbiano un grande lavoro da fare, invece di trastullarsi con inutili demonizzazioni del “populismo”, incalzando i partiti (pardon, i “movimenti”) che lo incarnano, proprio sul piano della capacità e dell’efficacia del loro programmi di governo rispetto al tema dell’uguaglianza tra i ceti, per attenuare le disparità di condizioni a livello economico e sociale tra i “cittadini” che compongono il “popolo” di cui si fanno paladini. La flat tax (patto fiscale che penalizza nei fatti i ceti che a parole dichiara di voler favorire) e reddito di cittadinanza (così definito impropriamente, in realtà sussidio di disoccupazione che da temporaneo tenderà, giocoforza, a diventare permanente proprio per la mancanza di lavoro nei territori in cui sarà più diffuso) sono i cavalli di battaglia dei contraenti il “contratto” di governo definito come un risultato “storico” da entrambi, che rischiano di ottenere come risultato il combinato disposto di un considerevole aumento della disuguaglianza e un’esplosione del debito pubblico nazionale. Ben lungi dal creare nuovo lavoro e quindi opportunità reali di crescita, e dallo sviluppare un sistema con un più alto tasso di reale equità fiscale.
Se questi fossero i (prevedibili ed attesi) risultati delle politiche ispirate dal superamento della obsoleta distinzione tra destra e sinistra, finirebbero per accrescere le motivazioni più forti del disagio sociale che ha portato all’affermarsi dei movimenti “populisti”, con un’inattesa eterogenesi dei fini.
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