Il volto nomade di McDormand chiude la corsa al Leone 2020

Mostra del Cinema di Venezia “Nomadland” di Zhao è la perdita dei punti di riferimento e l’impossibilità di fermarsi. Le musiche di Einaudi
Frances McDormand in the film NOMADLAND. Photo Courtesy of Searchlight Pictures. © 2020 20th Century Studios All Rights Reserved
Frances McDormand in the film NOMADLAND. Photo Courtesy of Searchlight Pictures. © 2020 20th Century Studios All Rights Reserved

VENEZIA. La Mostra finisce nei territori dell’ovest, quelli geografici, ma soprattutto metafisici di un piccolo, ma profondo film azero, che indaga il senso della vita “Tra una morte e l’altra” , come dice il titolo di Hilal Baydarov, ma soprattutto dell’atteso “Nomadland” di Chloè Zaho.

Nel primo la riflessione dell’ex documentarista di Baku coinvolge il rapporto tra l’Amore e l’esistenza: Davud vaga nelle sconfinate lande caucasiche del suo Paese e come una sorta di angelo sterminatore porta la morte in ogni luogo dove arriva, prima di capire che la sua ansia deriva dall’assenza di un significato nella propria vita, che risolverà condividendo appieno il destino precario ed effimero di ogni uomo.

Non è distante da questa premessa, la ricerca di un significato che dia senso all’esistenza, l’idea del nomadismo che è alla base del film di Chloé Zaho. Dopo la chiusura di una città mineraria nel Nevada più isolato, Fern, rimasta vedova da qualche tempo, decide di partire.

Una decisione inevitabile, dettata dalla cancellazione dalla carta geografica e dai codici fiscali del villaggio, come le città fantasma della corsa all’oro di un secolo fa. Preso lo stretto necessario e caricato tutto in un vecchio van, Fern inizia un viaggio negli States in cui si unisce ad altre comunità di nomadi, non homeless, ma gente che sceglie di restare per strada perché fatica a rapportarsi con la quotidianità urbana, spesso per la mancata elaborazione del lutto o per una solitudine involontaria nella quale sono caduti anch’essi, quasi mai per una questione economica.

L’idea è partita dalla stessa protagonista, la sempre grande Frances McDormand, che ha letto il libro-inchiesta della giornalista Jessica Bruder, “Nomadland” appunto, ha scelto la regista e deciso di coprodurre il film, che invece Zhao ha sceneggiato, diretto e montato.

La regista, collegata con Venezia via Zoom assieme a Frances McDormand, dice di aver sempre avuto nel sangue la passione per le grandi pianure sin da quando, a Pechino, guardava verso la Mongolia. «Quando la gente si sente perduta va a Ovest, è il mito della frontiera che riemerge. Così io ho pensato al Sud Dakota» , dove trasportare la vicenda di Fern.

«La troupe si è spostata in sette stati diversi, per cinque mesi di riprese, unendosi alle stesse comunità di nomadi e stringendo collaborazioni con loro» , vivendo nelle stesse comunità di camper, disturbando il meno possibile, e dove i giovani sono una minoranza rispetto ai 50-60enni. «Dovevamo ricreare un ecosistema, suscitare stupore tra i nomadi per farci raccontare le loro storie, e abbiamo trovato gente generosa è disponibile».

Un’identificazione così riuscita che alla McDormand in Nebraska hanno offerto un posto di lavoro, in un supermercato Target.

Quello che emerge è l’impossibilità di fermarsi, perché non c’è più un luogo di riferimento. Certo all’origine «ci sono anche le disparità economiche del mio Paese, ma non è un film politico, anche perché in questa comunità la politica resta distante e ciò che importa è la solidarietà, non la scelta del presidente degli Usa» risponde l’attrice a chi le chiede come si schierassero i nomadi. «Di certo oggi c’è tanta gente in strada, dalle mie parti in questi periodi i campeggi per i camper sono pieni» ha concluso, riferendosi anche all’aggravamento della situazione post-Covid.

Sulle musiche di Ludovico Einaudi, scelto dopo aver visto un suo video in cui suona nell’Artide, Fern attraversa lande desolate e cittadine di periferia, trovando sempre gente per bene. Certo non siamo più ai tempi degli easy-rider, ma pare quasi incredibile che non vi sia un atto di violenza o di sabotaggio verso questi nomadi che non vanno confusi con quelli più strutturati, con camper ultra-accessoriati.

Un film di grande impatto naturalistico, ma anche attoriale: «Il mio volto è come visitare un parco nazionale” ha detto Frances citando una definizione che le hanno dato, e che richiama la protagonista di “Tre manifesti a Billboard, Missouri” , una donna americana in cerca di se stessa.

“Nomadland” è certamente tra i migliori di Venezia 77, anche se non così forte da distanziare di troppe incollature gli inseguitori. —

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