«Io, dopo il dolore costretta all’esilio con il mio bimbo da chi non usa le mascherine»
Caterina Simonsen, affetta da quattro malattie genetiche: «A Padova rischio di morire per l’irresponsabilità dei coetanei»

LA STORIA
Dopo la sofferenza, dopo i ricoveri, ora arriva l’esilio. Caterina Simonsen, 32 anni, padovana, affetta da quattro malattie genetiche rare che colpiscono polmoni, fegato, sistema immunitario e diaframma, deve andarsene dalla sua città e lasciare la famiglia, proprio ora che ha composto il mosaico della sua vita: una composizione per nulla scontata.
CATTIVERIA
Ha dovuto lottare anche contro la cattiveria dei social network, Caterina, quando da un letto d’ospedale parlava della sua malattia e dell’importanza della sperimentazione sugli animali. Ora deve lottare contro l’irresponsabilità delle persone che vivono come se il virus non ci fosse. «Ho paura, per me il Covid è morte certa. Sto cercando disperatamente un modo per lasciare la città. Dovrò starmene lontana almeno fino a marzo», dice mentre accarezza il suo adorato bambino.
LA SCELTA
La vita minima di Caterina racconta una donna in trincea, che esce di casa solo per andare al supermercato. Però se si guarda intorno vede coetanei assembrati che spostano gli orari delle cane e si organizzano per fare l’happy hour a mezzogiorno.
A RISCHIO
«Non salvaguardare la popolazione a rischio è per ora il vostro errore più grande» scrive in un lungo post su Instagram, rivolgendosi alle autorità sanitarie. È in questo contesto di caos e negazionismo che Caterina Simonsen ha deciso di andarsene da Padova per qualche mese, fino a che la situazione non tornerà a livelli di sicurezza compatibili con la sua sopravvivenza.
RIFUGIO
«Sto scegliendo una comunità in montagna in cui rifugiarmi. Nel Comune di Auronzo di Cadore non ci sono contagiati, al momento. E nemmeno a Claviere, in Piemonte. I medici mi hanno consigliato di trasferirmi in uno di questi due luoghi e di rimanere lì, sotto controllo, fino a che tutto non sarà finito». La partenza è prevista entro il 20 novembre.
SOLA
Vivrà da sola con il suo bambino Caterina. Nessun contatto con i genitori, mentre il partner potrà andarla a trovare una settimana al mese, ma sempre facendo prima il tampone. «Lavora come pizzaiolo con sei persone in nove metri quadrati» rivela.
RISTRETTE
«Come faccio io a stare tranquilla con una situazione come questa? Mi stupisce che nessuno abbia pensato a creare situazioni per persone malate come me. Servirebbero comunità ristrette, in cui per entrare serva necessariamente il tampone negativo. Solo in quel modo su tutelerebbero le categorie deboli. Invece si parla di tutto, tranne che di questo. «Perché non usare le strutture che di solito su usano per la stagione sciistica per questo scopo?» chiede la trentaduenne. «Con gli impianti chiusi, si potrebbe far lavorare comunque gli alberghi creando situazioni di protezione per persone fragili come me».
LO SFOGO
«Ho deciso di scrivere quel lungo post su Instagram dopo che ho visto alcuni ragazzi consumare delle birre in bottiglia fuori dal supermercato che frequento, dopo le 18 ovviamente» racconta Caterina. «Pensano che non sia un problema loro. Credono che saranno comunque gli altri a pagare e in parte è vero. Io sono gli altri. Io rischio di morire».—
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