La moglie dell’omicida: «Lasciateci in pace»

CESSALTO. «Cercate di capire, per ora non abbiamo niente da dire». La famiglia Sgroi è trincerata da ieri pomeriggio nel suo dolore per la tragedia che l’ha colpita. Chiusi nell’appartamento di via Chiesa, a pochi passi dalla chiesa di Sant’Anastasio, la moglie Paola Pasini e i tre figli chiedono il rispetto del loro dolore, mentre i parenti arrivano per tutto il pomeriggio alla spicciolata per portare un po’ di conforto e aiuto.
La moglie Paola risponde al citofono di casa ma non se la sente di parlare a lungo: «Non so cosa dire, devo prima parlare con il nostro avvocato. É un momento difficile, per favore, non abbiamo nulla da dire».
Il clima è pesante: nessuno, nel piccolissimo centro di Sant’Anastasio ha voglia di intrattersi a parlare di un caso di omicidio che ha toccato così da vicino la comunità. “É difficile in questo momento dire qualcosa» afferma uno dei figli di Francesco Sgroi, sempre parlando dal citofono. «Ora non riusciamo a dire niente. Mia madre si è sentita di nuovo male e dobbiamo pensare a lei. Non sappiamo ancora niente e quindi non siamo in grado di dire niente».
Francesco Sgroi è nato a Cessalto sessant’anni fa: la madre Zina era rimasta vedova molto presto e aveva allevato il figlio da sola. Il rapporto tra madre e figlio era molto solido e i vicini raccontano che da quando aveva perso il lavoro, il figlio andava a trovare la madre anche tre o quattro volte al giorno. A vent’anni, come molti dei suoi coetanei, Sgroi era entrato al Mobilificio Europeo che offriva nuove opportunità di lavoro in zona e aveva costruito la sua famiglia a Sant’Anastasio sposando Paola. La coppia ha avuto tre figli: Massimo di 37 anni, Mauro di 30 e Silvia di 27 anni. In paese sono descritti come molto educati e rispettosi.
La moglie Paola è casalinga, mentre i tre figli sono tutti e tre dipendenti di diverse aziende del territorio. Tutta la sua vita si era sempre divisa tra il lavoro all’Europeo e la famiglia. Due anni fa, nell’agosto 2013, la proprietà aveva deciso la chiusura del mobilificio, lasciando 200 lavoratori a casa. Attualmente era quindi in mobilità, al termine della quale sarebbe probabilmente riuscito ad andare direttamente in pensione.
Francesco Sgroi era tra i dipendenti con più anni di servizio. «Era tra i colleghi più anziani – ricorda uno dei suoi ex colleghi – mentre tutti noi eravamo preoccupati principalmente per la perdita del lavoro e quindi del nostro reddito, Francesco, più vicino di noi alla pensione, viveva principalmente l’amarezza della fabbrica abbandonata».
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