La musica di Brunello nella foresta straziata: «Alberi nobilissimi padri dei nostri archi»
L’iniziativa del grande violoncellista che domenica sarà a Paneveggio con gli orchestrali di Villa Lobos per un «inchino» alla natura ferita

TREVISO.
Far pace con la natura, ammettere che è più forte di noi e chiederle scusa per la nostra arroganza. Che la offende e, a tratti, la fa adirare.
Un gesto, un inchino, un ginocchio da metter giù di fronte a un cimitero di alberi nobilissimi e sonori strappati e sparpagliati.

L’idea è di Mario Brunello, eccellenza assoluta nel mondo degli strumentisti “ad arco”, violoncellista di fama internazionale che nel 1986 ha vinto il primo premio al Concorso internazionale Cjakovskij di Mosca (una specie di Oscar “non cafone” della musica classica) che con la montagna ha un rapporto importante.
Soprattutto con il progetto del parco Arte Sella che coniuga il bosco con l’arte – specie del legno – in qualsiasi alta forma per trasformarsi in un museo all’aria aperta, anch’esso in parte colpito dall’uragano di lunedì sera.

Quante albe e quanti tramonti a suonare affacciato sulla chiostra dei monti e con, laggiù in una porta aperta tra essi, la pianura piena di rumori: antesignano dei concerto “nel bosco” o in quota, Brunello ha suonato spesso – oltre che sulle cime più belle delle Dolomiti, con l’ingombrante e amato strumento portato su a tracolla, oltre che in Sella anche in val Saisera, dove giace quel che resta della Foresta dei violini, quella che da mezzo millennio fornisce il sonoro legno degli abeti rossi per costruire strumenti a corda e ad arco, nonché fisarmoniche e molto altro.
Ci torna, annuncia, domenica a Paneveggio, in una radura della foresta trentina dove ha già suonato in passato. Lui e altri fenomenali musicisti come Uto Ughi, in un rito di simbiosi tra legno vivo e legno lavorato. «Non dite che terremo un concerto, perché non è vero: nessuna dedica e nessuna raccolta fondi come si usa in questi casi. Solo un omaggio, una visita dovuta a quella che è la madre ferita dei nostri più bei strumenti», che.
E aggiunge: «Andiamo a parlare con gli alberi che grazie alla risonanza del loro legno erano scelti dai liutai per fare gli strumenti che oggi vengono generalmente identificati come “Stradivari” per l’eccellenza di questo costruttore. E quelli che si sono continuati a fabbricare anche dopo il tramonto di quel filone d’oro tra il 1600 e il 1700».
Si può dire che Brunello e i Villa Lobos vanno a chiedere scusa di quello che l’uomo ha fatto al clima e alla montagna? «L’umanità», risponde Brunello – ha dichiarato guerra alla Terra non ricordandosi che è l’uomo ad avere bisogno della natura e non il contrario. E la terra si difende con questi segnali, queste sfuriate tremende. Credo che questo sia l’inizio di qualcosa, purtroppo, perché certi fenomeni non pare abbiano precedenti tanto forti e potrebbe entrarci qualcosa il riscaldamento dell’atmosfera».
«L’arte – afferma serio il violoncellista più amato dai raffinatissimi russi – è una delle poche possibilità, da parte dell’uomo, di dialogare con la natura».
«Ed ecco spiegato cosa andiamo a fare lassù domenica: proviamo a riallacciare un dialogo e a rendere omaggio alla foresta ferita: la Foresta dei violini, ma anche dei violoncelli, delle viole, delle chitarre... La foresta della musica, grande linguaggio internazionale».
L’abete rosso, oggetto della strage, non è molto amato dai montanari, perché il suo legno sottoposto alla spinta del vento “scoppia” e poi diventa inutile anche per far mobili e steccati. E perché la politica degli Anni’60 ha spinto molto – anche con incentivi – per la sua diffusione, rubando così pascoli per mucche e pecore che, grazie ai latticini, rendono, quassù, più remunerativa l’attività agricola. «Serve invece, nella fabbricazione degli strumenti, per realizzare il fondo di risonanza, ovvero la parte dello strumento che vibra e che gli dà suono di pregio, che lo caratterizza insomma.
Altre parti vengono realizzate con altri legni, il guscio spesso in acero, il ponticello in platano, ma l’abete rosso è il nostro vero amico, l’origine di tante soddisfazioni degli strumentisti– dice ancora Mario Brunello – Si chiama appunto “abete rosso di risonanza “, quel particolare tipo di pianta che ha subìto la strage più dolorosa in val Saisera. Dicono che ci vorranno cento anni per veder crescere i figli degli alberi che abbiamo appena perduto. vedrò tutto domenica e già mi tremano i polsi».
E forse anche più di cento anni, perché – spiegano gli esperti – il legno per i violini si ricava da alberi pluricentenari, ovvero di due-trecento anni.
È un esercizio di retorica dire che la foresta risuonerà insieme ai violoncelli dell’orchestra Villa Lobos e insieme ai due strumenti di Brunello che sono figli di questa foresta? «Non lo è – replica Brunello – noi abbiamo suonato nella Foresta dei violini e e abbiamo le prove che succede. Se gli alberi reagiscono anche a quando gli si parla, come possono restare indifferenti a un linguaggio che è loro familiare? Ho già suonato appoggiato con lo strumento a un abete rosso e l’ho sentito rispondere».
E va con la mente alla cattedrale vegetale, al “suo” parco Arte Sella, amatissimo.
«Lì –dice – la furia del vento si è abbattuta in modo selettivo. Ha abbattuto tutto fino all’inizio del parco dove sono collocate le opere, poi ha saltato via le sculture e ha fatto una sola vittima, l’opera di Antony Hove denominata “Vento di Sella”, quasi a ribadire la propria voce e a far capire che il vento vero è lui. Incredibile...». –
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