La variante brasiliana del Covid è già nel Veneto. Individuati più casi, allerta epidemiologica

L’Istituto Zooprofilattico ha isolato la mutazione in campioni provenienti dal Padovano, si studia la resistenza al vaccino
ZANETTI - FOTOPIRAN - LEGNARO - ISTITUTO ZOOPROFILATTICO
ZANETTI - FOTOPIRAN - LEGNARO - ISTITUTO ZOOPROFILATTICO

VENEZIA. Die Hard. Un nemico duro a morire il Covid-19, capace com’è di mutare rispetto al ceppo originario accrescendo capacità di circolazione e resistenza agli antidoti. Accanto alla variante inglese, importata dalle isole britanniche e ormai largamente diffusa sul territorio regionale, ora in Veneto compare quella brasiliana, caratterizzata da una trasmissibilità più elevata e, secondo i primi studi, in grado di diminuire l’efficacia del vaccino.

Almeno due i casi sequenziati all’Istituto Zooprofilattico delle Venezie: gli scienziati li hanno individuati analizzando un set di campioni provenienti dal Padovano, nell’ambito del monitoraggio epidemiologico voluto dalla Regione che impegna le unità sanitarie ad inviare mensilmente ai laboratori di Legnaro circa duecento tamponi-sentinella, riguardanti cioè casi e situazioni sensibili: persone con sintomi provenienti da aree internazionali a rischio, cluster violenti, malati gravi il cui decorso sfugge al consueto protocollo.

La scoperta spinge gli epidemiologici ad elevare il livello d’allerta, tanto più alla luce di quanto sta avvenendo in Umbria, dove la combinazione delle varianti brasiliana e inglese ha determinato una recrudescenza di contagi, ricoveri e decessi, al punto da indurre Luca Coletto e Claudio Dario, il tandem veneto a capo della sanità locale, a ripristinare la zona rossa con sospensione di ogni attività ordinaria negli ospedali presi d’assalto.

Isolata per la prima volta a gennaio in Brasile e in Giappone, già segnalata in otto Paesi, la temuta variante consiste, al pari delle altre, in una mutazione della cosiddetta proteina Spike, la “serratura” forzata dal coronavirus per replicarsi nell’organismo ospite.

La circostanza, ora, è all’attenzione della comunità scientifica: all’Istituto superiore di sanità, dove l’équipe di Paola Stefanelli coordina la sequenziazione del materiale genetico proveniente dalle regioni; al Policlinico San Matteo di Pavia, divenuto, grazie all’opera del virologo Fausto Baldanti, centro di riferimento nazionale nello studio delle reazioni immunizzante dei vaccini a fronte delle varianti citate.

Che altro? Senza indulgere all’allarmismo, la circostanza rischia di complicare l’exit strategy avviata dal Veneto dopo la feroce ondata di ottobre-dicembre e premiata fin qui da esiti confortanti, con la drastica riduzione di infezioni e malati, il ritorno nella fascia gialla di rischio moderato e la discesa dell’indice Rt a quota 0,71, soglia minima in Italia.

Traguardi importanti, da consolidare e proteggere in coincidenza con il riavvio progressivo delle attività economiche (inclusi i luoghi della socialità esposti al pericolo di assembramenti) e della didattica in presenza nelle superiori, pur a fronte di una campagna vaccinale frenata dalla persistenze scarsità di dosi e ancora lontana dagli ottimistici obiettivi di partenza. —


 

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