L’addio alle armi del Serpico veneto

PADOVA. Per due volte, a Capri e a Torino, ha messo le manette ai polsi all’inafferrabile Felice Maniero, il boss della mala del Brenta. Ora l’ispettore Michele Festa va in pensione, dopo 35 anni trascorsi a lottare contro il crimine. Con la sua uscita di scena, la Criminalpol non perde un investigatore qualsiasi: nato ad Avellino nel 1957, ha trascorso molti anni in prima linea fra Treviso, Padova - la sua città d’azione - e Verona.
Gli esordi, nella lcittà più “calda” d’Italia, Napoli, da giovane “falco” sulla moto, nei vicoli di Forcella. Poi a Roma, dove prese parte alle delicate ricerche culminate nella cattura della primula Maniero e dei sequestratori dell’imprenditore bresciano Giuseppe Soffiantini, sorpresi sulle colline toscane e liguri.
Quasi sempre ha lavorato sotto copertura a caccia di rapinatori (nel 1998 fece parte della squadra che catturò a Belgrado Armando “Meneguolo” Boscolo), di trafficanti internazionali di droga e di armi, di banditi specializzati negli assalti ai furgoni blindati. Fino a partecipare - aggregato alla Squadra mobile di Palermo, ai tempi del dirigente Luigi Savina e del questore Arnaldo La Barbera - alle indagini che avevano come bersagli i grandi capi di Cosa Nostra: Bernardo Provenzano, Antonino Brusca, Matteo Messina Denaro.
Lei in ufficio ci andava solo per scambiare un saluto con i colleghi davanti al distributore del caffé. Una vita sulla strada la sua, piena di rischi e di adrenalina, quasi un’esistenza parallela. Ora lascia la Polizia. Un po’ di nostalgia?
«La divisa non si dimentica mai. Il senso del dovere e dello Stato come bene comune te lo porterai sempre nel sangue, fino all’ultimo respiro. Ma la mia nostalgia non è soltanto di natura sentimentale; se mi guardo indietro vedo una galleria di volti, di storie, di personaggi, di emozioni. A cominciare dai colleghi, che non dimenticherò mai. E poi i funzionari e i dirigenti, come Carmine Damiano, Francesco Zonno, Diego Parente con cui ho lavorato alla cattura del killer seriale di Merano Ferdinand Gamper e alle indagini su Unabomber nel Trevigiano. E ancora Vittorio Rizzi, Alessandro Giuliano, Luigi Savina, Antonio Malvano. E Fernando Masone: prima che diventasse Capo della Polizia, ho lavorato con lui a Roma, nei blitz contro la banda della Magliana».
Ma come si sente un poliziotto quando lavora da infiltrato all’interno di una banda criminale e magari deve andarsene in giro disarmato temendo di essere smascherato da un momento all’altro?
«Ti rendi conto che stai vivendo un film da protagonista sulla tua pelle e l’adrenalina ti sale subito in testa. Comunque, uno dei brividi peggiori della mia vita l’ho provato nel 1998 a Pieve di Soligo, quando, ai tempi della Criminalpol al comando di Zonno, ho simulato l’acquisto di una tonnellata di armi da guerra da due croati, successivamente arrestati. Ero solo, in aperta campagna, senza telefonino, in mezzo alle viti di prosecco. I trafficanti non si sono accorti di aver davanti un poliziotto, ma ci è mancato un pelo... ».
Altre tappe cruciali nella sua carriera di Serpico?
«Sul piano emozionale, ricordo le indagini sul terrorismo a Bologna dopo l’omicidio di Marco Biagi e le ricerche con la Mobile di Bergamo per dare un volto all’assassino di Yara Gambirasio. Ma il periodo più intenso sul piano professionale ed emozionale ha coinciso con la caccia a Felice Maniero: oggi, se mi incontrasse per strada, forse mi offrirebbe un caffé nonostante gli abbia messo il sale sulla coda due volte».
Cosa le resta dell’esperienza antimafia in Sicilia?
«Ero nella squadra di Savina, davamo la caccia ai pezzi da novanta, Brusca e Provenzano. Non dimenticherò mai le giornate trascorse nelle campagne di San Giuseppe Jato, appostato da solo in un casolare, con il binocolo, a sorvegliare i movimenti dei sospetti con l’incubo di perdere un particolare, una figura, un gesto che poteva accendere la luce sulle indagini».
Il suo ricordo più tragico?
«Quello legato a Samuele Donatoni, un bravissimo collega dei Nocs: era di Rovigo, fu ucciso sulle colline abruzzesi durante la caccia ai sequestratori di Soffiantini. Un momento drammatico, un dolore che ci portiamo dietro».
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