Le «armate delle ombre» ovvero le Resistenze nazionali nella libertà europea

I partigiani non rappresentarono solamente una reazione all’ignominia del nazifascismo ma progetto e speranza di assetti sociali e politici diversi da quelli che avevano vissuto  

Quando si avvicina il 25 aprile molti pensano che sia giunto il momento di qualche rituale ricordo, d’una ammuffita celebrazione di qualcosa avvenuto ormai quasi tre quarti di secolo fa, ovvero la fine della seconda guerra mondiale, la sconfitta del nazifascismo e la vittoria degli alleati e dei partigiani. Echi lontani, che poco hanno a che fare con il presente?

I numeri dei combattenti

Una delle questioni ricorrenti, ricordando la Resistenza e il 25 aprile, riguarda il peso e il significato del contributo militare delle formazioni partigiane. Qualche cifra. Il peso militare della Resistenza emerge con chiarezza dalle fonti, in primis quelle tedesche.

Il feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante delle truppe tedesche in Italia, nelle sue memorie scriverà che l’azione partigiana si era sviluppata in forma «affatto inattesa», diventando «per il comando tedesco un pericolo reale, la cui eliminazione era un obiettivo di importanza capitale.

All’inizio era possibile servirsi unicamente di reparti di fanteria, ma quando la lotta si andò inasprendo le migliori truppe dovettero venir impegnate nella lotta contro i partigiani», la cui forza lo stesso Kesselring stimava in circa 100. 000 uomini nell’estate del ’44, e 2-300 mila nel marzo-aprile del ’45 (Memorie di guerra, Garzanti 1954).

Un documento segreto del Servizio segreto inglese del 2 giugno 1945 (Report on n. 1 Special Force, Activities During April 1945) si riporta la cifra di 54. 916 nemici messi fuori combattimento dalle forze partigiane dal gennaio all’aprile 1945 tra morti, feriti e prigionieri, ed elenca 125 tra città e centri minori liberati dai partigiani prima dell’arrivo degli alleati.

Le vittime

Ma una cifra salta all’occhio, e da sola racconta la tragica durezza della lotta. Come scrive Basil Davidson, grande storico dell’Africa che aveva combattuto come agente del Servizio segreto inglese in Jugoslavia e in Italia, i partigiani caduti furono 45. 808, i feriti meno della metà: il che capovolge il «rapporto proporzionale fra morti e feriti che di solito si ha nelle operazioni militari» (Scene della guerra antifascista, Rizzoli 1981).

San Marco, il patriarca di Venezia omaggia l'evangelista patrono della città
Foto Agenzia Candussi / FURLAN/ Mestre via TORRE BELFREDO /MESTRE INAUGURAZIONE SANTUARIO MADONNA DELLA SALUTE.IN FOTO IL PATRIARCA MORAGLIA.


Il peso politico

Al di là del peso militare, non esiguo, vi è quello politico. Se i tre quarti di secolo passati da allora sono stati nel complesso uno straordinario periodo di pace e di prosperità lo dobbiamo anche a tutti i movimenti di Resistenza sviluppatisi negli anni della seconda guerra mondiale contro il «Nuovo Ordine» razzistico, sterminatore e schiavistico imposto dal nazifascismo e dai governi collaborazionisti nell’Europa soggiogata dalla svastica.

Nella meno agiografica storia delle Resistenze europee, che non ne nasconde contraddizioni e insuccessi, Olivier Wieviorka scrive che il contributo militare alla vittoria della Resistenza interna fu reale, pur ricordando che anche senza l’aiuto delle forze clandestine gli Alleati sarebbero riusciti a liberare l’Europa occidentale.

Senza la Resistenza, tuttavia «queste liberazioni sarebbero state più lunghe, più costose e dolorose. Si capisce così che gli angloamericani, inizialmente scettici, abbiano salutato l’appoggio fornito dalle armate delle ombre con entusiasmo ancora maggiore, avendo dubitato a lungo delle possibilità della guerra clandestina. La Resistenza aveva partecipato non senza fulgore alla vittoria militare; contribuì in egual misura a stabilizzare la situazione politica, evitando che l’Europa dell’Ovest precipitasse nel caos».

Lo spettro delle ombre

E così conclude: «La Resistenza fu per certi versi un elemento perturbatore che scatenò a volte epurazioni extragiudiziarie, impose sul piano locale uomini privi dell’investitura del suffragio e rifiutò spesso di consegnare le armi. Ma queste ombre pesano poco rispetto ai suoi apporti, dal momento che la Resistenza contribuì ampiamente ad assicurare una transizione pacifica e ordinata del potere. Avvalendosi del suo prestigio, aiutò i poteri regolari a ristabilire la democrazia, limitò i regolamenti di conti e accettò di farsi da parte davanti alle autorità costituite. Nell’insieme dimostrò un vivissimo senso di responsabilità e contribuì in linea di massima a evitare le lacerazioni di una guerra civile a paesi già segnati da una pesante occupazione. In questo senso, i combattenti dell’ombra furono assai spesso anche valenti militanti della democrazia» (Storia della Resistenza nell’Europa occidentale, 1949-1945, Einaudi 2018).

Ha scritto François Bédarida che la Resistenza europea è stata prima di tutto una questione assiologica, di valori: «nata da un rifiuto fondato sull’onore e sull’etica, ne porta l’impronta indelebile.

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Foto Agenzia Candussi / FURLAN/ Mestre via TORRE BELFREDO /MESTRE INAUGURAZIONE SANTUARIO MADONNA DELLA SALUTE.IN FOTO IL PATRIARCA MORAGLIA.


La Resistenza morale

La Resistenza è stata fondamentalmente morale: nella sua essenza, nella sua origine, nella sua finalità» (Résistants, in 1938-1948. Les années de tourmente, Flammarion 1995). Ciò perché le Resistenze – militari e civili, attive e passive, e al netto dei loro conflitti ideologici interni e della ondivaga perplessità dei comandi alleati – non erano solamente una reazione all’ignominia criminale del nazifascismo, erano anche progetto e speranza.

Se le formazioni d’ispirazione comunista consideravano l’impugnare le armi come la premessa alla rivoluzione socialista, anche tutte le altre anime immaginavano la loro lotta come prodromica ad assetti sociali, politici ed economici – cioè ad un futuro – ben diversi da quelli attraversati e conosciuti negli anni venti e trenta, che avevano tragicamente condotto al secondo conflitto mondiale.

Progettare il dopo

In altri termini, senza la progettualità delle Resistenze non vi sarebbe stata la democrazia, la libertà, lo sviluppo economico del secondo dopoguerra. La vittoria Alleata non sarebbe stata sufficiente a ricostruire l’Europa senza le energie morali che le Resistenze al nazifascismo seppero mobilitare creando una rete di stati costituzionali fondati sulla libertà a così caro prezzo riconquistata e vòlti – pur tra mille ritardi e contraddizioni – a rovesciare un trend secolare di conflittualità intraeuropea a cui oggi si stanno ottusamente riaprendo le porte.

L'Europa nata a Ventotene

Non è un caso che uno dei testi fondativi del progetto di unificazione europea sia stato scritto in una galera fascista, nel confino di Ventotene, da oppositori del rango di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, ucciso dai fascisti a Milano nel maggio del 1944 (era il marito di Ursula Hirshmann, straordinaria figura di antifascista, anch’essa tra le fondatrici dell’Unione Europea: non si deprecherà mai abbastanza la facilità con cui dimentichiamo l’insostituibile contributo delle donne alle Resistenze e alla rinascita della democrazia). Spinelli considerava la futura Federazione Europea come uno dei pilastri essenziali della pace mondiale, e nel 1943 fonderà a Milano il Movimento Federalista Europeo.

Sono vicende note, anche se un po’ dimenticate. Meno noto è che dopo una serie di riunioni segrete, per iniziativa ancora una volta, tra gli altri, di Ernesto Rossi, Altiero Spinelli e Henry Frenay (il capitano francese creatore di Combat, il maggiore dei movimenti di Resistenza francesi) il 7 luglio a Ginevra sia stata resa nota la Dichiarazione delle Resistenze europee: la sua ricaduta politica fu modesta, ma ciononostante essa rimane uno dei segni più alti della volontà progettuale dell’antifascismo, determinato non solo a sconfiggere la tirannia nazifascista, ma a sradicare quel miscuglio di nazionalismo esacerbato, di protezionismo autolesionista, di «sacri egoismi» e infine di razzismo che aveva aperto le porte ai totalitarismi di destra negli anni tra le due guerre. Era il sogno di un’Europa federale, con un esercito, una moneta e un sistema giudiziario condiviso.

Il collegio di Bruges

Dagli stessi sentimenti unitari e riformatori, nel Congresso dell’Aja del maggio 1948, presieduto da Winston Churchill e forte della presenza di europeisti come Konrad Adenauer, Paul-Henri Spaak, Alcide De Gasperi, Altiero Spinelli, si getteranno le basi del Consiglio d’Europa (istituito l’anno successivo con il Trattato di Londra) e del Collegio d’Europa a Bruges, un istituto di studi post-universitari europei, dove i giovani laureati dai diversi paesi avrebbero potuto studiare e vivere insieme.

Ciò grazie soprattutto a Salvador de Madariaga, antifascista spagnolo, storico e diplomatico, già Segretario della Società delle Nazioni, che così sintetizzava il progetto, in continuità con tante speranze «resistenziali»: «L’Europa deve nascere. E nascerà quando gli spagnoli diranno “la nostra Chartres”, gli inglesi “la nostra Cracovia”, gli italiani “la nostra Copenaghen”, e i tedeschi “la nostra Bruges”. Allora l’Europa vivrà». La nostra Notre-Dame, allora?

Ricordare la resistenza non è quindi solo il doveroso omaggio all’eroismo di pochi, al coraggio di molti, al sacrificio partecipe di moltitudini. È sentire un’eredità viva, e magari provare a realizzarla. —


* professore ordinario di Storia contemporanea all’Università di Padova e direttoredel Centro per la Storia

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