Le elezioni regionali e il diritto calpestato

La forma più tragica di decadenza - si tratta di un luogo comune - è il ridicolo. «Capocomici e istituzioni» potrebbe essere il titolo di un bel libro, che forse qualcuno scriverà. In ciò che è accaduto e sta accadendo nel presentare le liste che dovranno contendersi il voto degli elettori alle ormai imminenti consultazioni regionali, quel che sorprende e - oserei dire - spaventa sono le dichiarazioni rese da molti, che fanno a pugni con la razionalità. Si è detto e si dice che l’uomo è un essere razionale, se non altro per distinguerlo da altri esseri: ad esempio, dai quadrupedi. È un bipede intelligente, ma sembra aver perso il ricordo di sé. Almeno, a me pare sia così, e me ne dolgo e mi scuso se eccedo. Ma è quel che penso. E mi spiego nel modo più semplice possibile.


Dobbiamo vivere insieme. Ci vogliono regole. «Ubi societas ibi ius». «Là dove c’è un aggregato sociale lì c’è il diritto». Acqua fresca: appunto!


Nei sistemi democratici non c’è un tiranno, un oligarca, un reuccio, un duce, un tribuno che detta le regole: lo fanno le assemblee legislative, i Parlamenti. E fin qui, nulla di nuovo. Visto che siamo uomini e può darsi che le regole siano violate - nel senso che si può ritenere che siano state violate -, ci deve essere qualcuno che risolve il problema del rispetto o del mancato rispetto della legge. Da che mondo è mondo, questo soggetto terzo e imparziale è il giudice. Sì, il giudice, il quale interviene quando qualcuno glielo chiede. Non prende iniziative in proprio del tipo: «Qui decido io». Anche questo è risaputo e ne sono lieto.


Per capirci meglio, proviamo un istante a riflettere su quel che accade in una qualunque competizione sportiva. L’esempio più chiaro è quello del calcio, anche per le intemperanze che talvolta riesce ad esprimere. I casi di infrazione sono stabiliti in modo preciso dal regolamento. L’arbitro è un uomo, dunque un essere imperfetto, e può sbagliare, al pari del calciatore che manca una rete a porta vuota. È nell’ordine delle cose. Certo, non si può giocare una partita se l’arbitro non applica le regole dettate dal regolamento e se si dice che l’arbitro è di parte. Avranno la prevalenza le tifoserie, ci saranno liti furibonde, si dovrà sospendere la partita. Attenzione: non perché una squadra gioca bene e vince e l’altra perde, ma perché si dice che una data squadra non può non vincere.


Con l’occhio rivolto al caso elettorale, si assume che una data lista non può non partecipare alla competizione. Tutti ci siamo rammaricati - per tornare al calcio - quando compagini blasonate come la Juventus, il Milan, il Bologna, la Fiorentina e via dicendo hanno dovuto militare in serie B, ma nessuno ha gridato allo scandalo. A meno di non essere un tifoso.


Molti commentatori si sono soffermati sulle ragioni vere di questo “disastro” politico-istituzionale. Perché, se davvero i giudici amministrativi dovessero confermare la decisione degli uffici elettorali delle Corti d’appello di Roma e Milano, ciò sarebbe davvero politicamente grave. Tuttavia, per un altro verso, potrebbe rilevarsi istruttivo. Forse imporrebbe di riflettere sul fatto che la democrazia ne soffre quando non abbiamo alcun senso delle istituzioni, non distinguiamo il particolare da ciò che è interesse di tutti, attribuiamo ad altri responsabilità proprie, gridiamo «al lupo al lupo» - ai rischi per la democrazia - quando siamo i primi ad aver smarrito l’idea che per vivere insieme bisogna essere civili, educati. L’educazione alla Costituzione è una nuova materia d’insegnamento, che dovrebbe riguardare, in primo luogo, chi governa. Non lo dico con supponenza, ma da cittadino triste. Voglio essere ancora più sincero: avvilito.

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