L’eccellenza acciaio, una industria high tech alle prese con dazi e guerre commerciali

Un treno da 8,5 miliardi di euro. A tanto ammonta il consolidato del mondo dell’acciaio del Nordest, protagonista del nuovo numero di Nordest Economia in edicola mrcoledì 16 ottobre con il nostro giornale.
Una locomotiva che concentra circa il 24% della produzione nazionale, molto orientata ai mercati esteri: oltre il 30% dei ricavi internazionali si estende tra Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige. Un treno però che rischia una brusca frenata. I dati sulla produzione sono in calo e presto l’effetto si noterà anche sui ricavi.
A pesare sul comparto, come sottolinea nella sua analisi Stefano Stefanini, sono la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti e la sovraccapacità produttiva.
«L’acciaio europeo naviga in cattive acque internazionali principalmente a causa di due variabili indipendenti - spiega Stefanini - : i dazi americani (25 per cento) e l’eccesso di produzione cinese». La congiunzione ha un effetto perverso.
«Per produrre più acciaio - rimarca ancora l’analista - la Cina acquista più ferro, alzando così il prezzo mondiale della materia prima per tutti; esporta però di meno in Usa a causa dei dazi americani, e quindi riversa all’estero il surplus non assorbito dal mercato interno. La siderurgia europea è colta nel mezzo del neo-protezionismo americano e del dumping cinese. La variante italiana ha per ora conservato anzi leggermente migliorato l’export verso gli Usa, ma ha perso quote di mercato interno e Ue».
L’acciaio nordestino non si può comprendere se non come parte di un complesso incastro internazionale. Per la caratteristica della sua siderurgia, molto esposta sui mercati internazionali, soprattutto Usa, e per la correlazione della nostra industria con quella tedesca.
Secondo i dati elaborati da Federacciai per Nordest Economia, nel 2018 l’Italia nordorientale ha retto meglio agli iniziali segnali di rallentamento. La produzione di acciaio grezzo in tonnellate ha registrato nel 2018 un incremento del 2,9% rispetto al totale della produzione nazionale in crescita dell’1,9%, mentre i laminati a caldo segnano un dato meno positivo, +0,6% nell’anno rispetto ad una crescita nazionale dell’1,3%. Ma nei primi otto mesi del 2019, come ha sottolineato ieri Federacciai durante la sua assemblea annuale, la produzione nazionale ha registrato un calo del 4,5% a 15,4 milioni di tonnellate, con una quota nella Ue del 14,1%, ridotta rispetto al 14,6%.
Dietro alla congiuntura ci sono poi i tanti punti di forza del contesto Nordest. In quest’area si concentrano gli investimenti più significativi: tre nuovi principali laminatoi, quello high tech di Acciaierie Venete, quello di Pittini a Verona e quello di Danieli in Abs, sono per l’appunto posizionati tra Veneto e Friuli Venezia Giulia. In Veneto c’è il gruppo più internazionale, la Valbruna della famiglia Amenduni. Qui è stata realizzata la più importante acquisizione dell’anno, il mega fondo statunitense Carlyle ha comprato, valorizzandola un miliardo, la Forgital, gruppo vicentino della famiglia Spezzapria. Infine il Veneto vanta il più longevo gruppo siderurgico italiano: Afv Beltrame.
Le grandi famiglie dell’acciaio, le cui storie d’impresa trovano ampio spazio nel numero di Nordest Economia, stanno spingendo sull’innovazione, sugli investimenti in industria 4.0 e sulla sostenibilità. Quest’ultimo è uno dei punti forza del comparto italiano in Europa.
Come sottolinea anche il presidente di Federacciai, il padovano Alessandro Banzato, «grazie ad innovazioni e ingenti investimenti la siderurgia italiana è tra le più efficienti in Europa, con consumi specifici, a parità di produzione, ampiamente al di sotto di Germania, Francia e Inghilterra. Un altro elemento è la gestione della risorsa idrica. Negli ultimi otto anni, a parità di produzione, i consumi sono calati del 14% anche grazie ad investimenti che hanno voluto massimizzare il ricircolo delle acque». —
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