Lega garante del Nord

La Lega, fedele a una consolidata tradizione, annualmente si riunisce a Pontida. Divenuta così il simbolo identitario (le radici secessioniste mai rigettate) di un Nord «altro» dal Paese. Ma, al contempo, pure il luogo della mediazione dei principi fondativi del leghismo col «possibile politico». Sia in termini di alleanze che di obiettivi da conseguire. Naturalmente l’obiettivo massimo - la Repubblica del Nord - resta all’orizzonte. D’altronde, proprio a fini secessionisti la Lega nel 1997 auspicava (in «Per una Padania libera in una libera Europa», tesi approvata al suo terzo congresso) l’avvento dell’euro come arma per liberare la Padania dall’Italia e portarla in una Mitteleuropa aperta a Est all’Ucraina e alla Russia. Tuttavia, fallito dall’euro l’obiettivo rivoluzionario anti-italiano e mancando alla secessione una realistica base militare, la Lega si è vista costretta al riformismo. Un po’ come capitò al Pci che, senza l’arrivo dell’Armata Rossa, dovette lasciare all’orizzonte il comunismo per coniugarne le istanze nel «politicamente possibile» in epoca Dc.


Analogamente, quindi, per la Lega. Infatti, per essa, il federalismo nasce come «secessionismo indebolito» da una Realpolitik necessaria, specie ora che il partito è forza di governo. Anche se ancora ieri a Pontida si è accennato, qualora i Palazzi romani rigettassero il sogno federalista, a rivolte di massa. Il che dimostra che la Lega è tuttora in «mezzo al guado» fra secessione e riforma federale. Per questo strategica, come ha appena ricordato Bossi a Pontida. Anche perché, senza di essa, il movimento perderebbe la propria ragione sociale costitutiva.


A tal proposito, la Lega dimostra di aver fatto tesoro degli errori passati. Quando, due legislature fa, l’alleanza di destra, allora come oggi maggioritaria al Parlamento, impose contro la sinistra una riforma della Costituzione (con la famosa devolution) col solo risultato di vedersela bocciata al referendum del 2005. Ecco perché adesso Bossi, pur ancora agitando il bastone della rivolta nordista, mostra una volontà di accordo a 360 gradi. Un atto inevitabile.


Perché difficilmente la base leghista, abituata a leggere assieme questione federale e fiscale, potrebbe accettare ulteriori rimandi. Di qui l’insistenza (pragmatica e ideologica assieme) della leadership padana per un «grande accordo» in materia.


Diversamente, rischierebbe il suicidio politico. Anche se dispone di un’arma di riserva: la mobilitazione politico/elettorale della «paura diffusa». Affrontata sia legando strettamente immigrazione a criminalità che, conseguentemente, pretendendo ed ottenendo il ministero dell’Interno. Nondimeno, pure su questa tematica da Pontida sono giunte parole meno radicali del consueto. Fino all’esplicita distinzione bossiana tra «emigrare» e «delinquere». Che è tutt’altro che un’ovvietà. Perché, tradotta nel linguaggio politico, equivale a segnalare un approccio alla questione criminale alieno dal razzismo. Il che nulla toglie ai dubbi, anche di ordine costituzionale, che destano le normative penali volute dalla Lega (come da tutto il governo). Come pure le perplessità internazionali che attorno ad esse già si notano.


E tutte queste difficoltà, ovviamente, inducono a moderazione. Anche perché il «far saltare il piatto», come già fece Bossi col Berlusconi I, oggi, diversamente da allora, potrebbe veramente travolgere (anche se il forse è d’obbligo) la Lega. Che pertanto, pure con qualche prezzo in termini di consenso, è obbligata, entro certi limiti, a una moderazione di fatto, se non di retorica pubblica. Magari compensando il tutto, aprendo qualche questione distributiva fra Nord e Sud capace di turbare gli equilibri interni dell’esecutivo. Ma ancora senza tirare troppo la corda. Ad esempio, chiedendo di posticipare i lavori del ponte di Messina dinnanzi alle più urgenti priorità infrastrutturali del Nord.


Insomma, la strategia di Bossi è chiara. Si può mettere tra parentesi il secessionismo, ma a condizione che la Lega, almeno a destra, sia riconosciuta come l’unico rappresentante del Nord. Altrimenti, il gioco finisce. Questa è la Lega in politica, anche quando è nei Palazzi governativi. Pontida docet.
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