L'imprenditore veneto in Cina: «In Italia si sta sottovalutando, là non si è voluto rischiare»

Manuel Spongia, titolare della Ubc: «Nessuno qui si è lamentato, sono stati tutti responsabili. Ora stiamo ripartendo»
Manuel Spongia, con i presidi di protezione per andare in azienda
Manuel Spongia, con i presidi di protezione per andare in azienda

PADOVA. Manuel Spongia fa l’imprenditore, vive tra l’Italia e la Cina. La sua azienda, la Ubc (più di 30 milioni di ricavi, produce e commercializza scarpe sportive (in portafoglio ha diversi brand Cavalli, Trussardi e Gas) ed ha una unità produttiva nel paese da cui è partito il Covid-19. Ha visto cosa è successo nella sua regione e sin dall’inizio si è preoccupato per le misure troppo blande.

«Un paese come la Cina, orientato al business, non ha discusso le norme molto più stringenti che in Italia. Sono stati responsabili, hanno seguito le regole. C’è stata una campagna con messaggi a volte anche feroci: “Quest'anno visiti i parenti a casa, l'anno prossimo al cimitero” dicevano alcuni. Ma il contagio è stato contenuto e ora hanno paura di noi. Non capiscono perché stiamo sottovalutando la cosa». Oggi la sua azienda è ripartita, dopo lo stop forzato imposto per contenere l’epidemia.

Dove si trova la vostra azienda in Cina?
«La sede di UBC JJ si trova a Jinjinag (città adiacente alla principale Quanzhou ) nella provincia del Fujian. E' una "piccola citta" di circa 3 milioni di abitanti lontana 1000 KM dalla citta di Wuhan dove è scoppiata l'epidemia».

Quando è scoppiata l’emergenza sanitaria cosa avete fatto?

«Prima del capodanno cinese ( 24 gennaio ) le voci hanno iniziato a circolare e sono scattate le quarantene per le zone colpite. La gente in città era diminuita per le festività in corso, ma nel giro di 2 giorni risultava semideserta. I nostri fornitori ed amici hanno iniziato a disdire cene ed incontri e si sono rintanati nelle loro case. Tutti i templi sono stati immediatamente chiusi. Si vedeva insomma, che qualcosa di grosso stava per arrivare».

Quando è rientrato in Italia ha pensato cosa potesse succedere nel suo paese se fosse arrivato il virus?

«Il 27 gennaio sono rientrato in Italia. Diversi miei colleghi hanno iniziato ad indossare la mascherina in ufficio (che non serve a loro per proteggersi, ma avrei dovuto indossarla io per non infettare gli altri qualora fossi stato colpito ). Tutti mi hanno chiesto di questo virus. E a tutti ho risposto le stesse cose: la Cina, dopo una sottovalutazione del problema, ha reagito. Sono sicurissimo che il virus arriverà anche qui, in Italia ed in Europa. E non siamo preparati. Noi non saremo in grado di fare quello che la Cina ha fatto. Dobbiamo iniziare a preoccuparci del nostro immediato futuro. Penso che in molti mi abbiano preso per pazzo».

A febbraio ha postato una foto sul suo profilo Fb quando è tornato in Cina. Il suo volo era vuoto. Non ha avuto timore?

«Sono stato preso per pazzo quando il 12 febbraio sono ripartito per la Cina, per tornare al lavoro. Si, il mio aereo era semivuoto (tra l'altro non con la solita compagnia in quanto i voli erano già stati cancellati per mancanza di passeggeri). Un viaggio surreale. La febbre ci è stata misurata all'imbarco e ogni ora. Le poche persone a bordo erano tutte orientali ma non avevano la solita solarità. All'arrivo aeroporto le strade erano completamente deserte. Nel frattempo il governo aveva prolungato le chiusure obbligatorie per le festività di ulteriori 2 settimane. Tutto era chiuso: negozi, centri commerciali, bar e caffe, palestre e piscine, autostrade e trasporti interni ( treni ed aerei ), parchi e sale KTV, tutti i luoghi per attività ludiche. La gente non poteva uscire di casa: un solo componente della famiglia ogni 2 giorni era autorizzato ad andare a comprare da mangiare. I controlli erano severi: all'uscita di casa o del compound, all'entrata del supermercato e del parcheggio. Dappertutto vi è il controllo della temperatura. Tutti i villaggi e quartieri si sono autoisolati: hanno chiuso cioè tutte le entrate e lasciandone aperta solamente una per controllare e monitorare le entrate e uscite e rilevare le temperature».

Ha avuto paura?

«No, ho visto una nazione che ha reagito ed ho visto la responsabilità della gente. E tutto questo non solo per quanto riguarda il lavoro, scuole e locali. Ma anche e soprattutto nella vita di tutti i giorni: niente più feste ed incontri, niente balli nelle piazze e nelle strade che qui vanno di moda, niente più cene o bevute in compagnia. Il governo ha diffuso una serie di avvisi tramite TV, radio e altoparlanti e tappezzato strade e monitor di slogan per fare capire l'importanza di queste misure che ben sono state recepite ed adottate.
Sono tutti slogan in rima che giocano sui diversi accenti e suoni delle parole. Alcuni spietati e crudi, altri simpatici. Cose del tipo. «E ‘meglio indossare una maschera che un respiratore, è meglio stare a casa a fare nulla ( quarantena ) che in terapia intensiva». Oppure: «Quest'anno visiti I parenti a casa, l'anno prossimo al cimitero». O ancora: «Scegli : Maschera o respiratore artificiale». E anche:
«Nascondendo i sintomi del virus e non denunciandoli, la strada della fontana gialla (road of death, la strada che fai dopo la morte )  arriva prima del tempo». E infine: «Tutti sono responsabili della lotta contro l'epidemia».
 

Oggi lazienda dove lavora ha riaperto?

«Dopo un paio di settimane, e vista la frenata della diffusione del virus, il governo ha gradualmente iniziato a rilasciare le autorizzazioni all'apertura delle attività. Sono serviti una serie di documenti ed una visita da parte di delegati locali che hanno verificato le necessarie misure per il contenimento dell'epidemia: mascherine a sufficienza per tutti i dipendenti, gel disinfettante, termometro e registro dove annotare tutte le temperature di tutti i dipendenti, tutti i giorni, ampi spazi per i lavoratori. Abbiamo provveduto ad adeguarci e giovedì 20 febbraio abbiamo ottenuto il nostro certificato. Tutto il personale che può svolgere il loro lavoro da casa è stato invitato a farlo».

Come è stato il ritorno alla quotidianità ?

«La quotidianità, intesa come la normalità prima dell'epidemia, ancora non c'è. I trasporti (autostrade, treni ed aerei) sono tornati regolari. La nostra azienda ha riaperto gradualmente facendo fare la quarantena a tutti i dipendenti che hanno trascorso le vacanze fuori provincia e facendo venire solo quelli strettamente necessari. Molti fornitori hanno riaperto in ritardo e molti altri ancora non hanno ancora riaperto. Nonostante tutto, oggi si riesce lavorare e stiamo cercando di recuperare il tempo perso. Insomma, tutto sta andando in questo periodo verso una soluzione No-Contact: se non necessario non incontriamoci o riuniamoci e troviamo a tutti i costi dei mezzi e delle soluzioni per farlo».

Come è la situazione economica ora nella regione dove lavorate?

«L'economia in tutta la Cina ha sicuramente preso un brutto colpo. Ma la cosa che più mi ha colpito è che non ho sentito nessuno lamentarsi per questo. Con molta responsabilità il popolo cinese ha accettato e messo in atto tutte le misure che il governo ha imposto. Nessuno ha cercato la "scorciatoia". Ho sentito che molte fabbriche in questo clima di incertezza hanno deciso di non riaprire a breve ma preferiscono attendere che i tempi tornino ad essere migliori. La loro mentalità business-oriented li porta a prendere delle decisioni dove il rischio deve essere molto basso ed i rientri certi. Ma in generale vedo che tutto sta ripartendo. E mi sembra anche, per quanto riguarda i miei contatti, con molto entusiasmo».

Dalla sua esperienza personale quello che stanno facendo in Italia è eccessivo? È simile a quello che ha visto avvenire in Cina?

«Siamo ancora molto lontani da quello che è stato fatto qui in Cina. Non sono un epidemiologo e nemmeno un virologo. Ma per una personale idea della situazione e per l'esperienza vissuta qui in Cina, le misure adottate fino ad oggi sono ancora poche e sempre in ritardo. Per cui inefficaci. E purtroppo i numeri li stiamo vedendo tutti. In Cina ora noi italiani siamo visti male. Non perché non ci amino. Anzi. Ma perché hanno provato sulla loro pelle questa esperienza ed hanno molta paura di tornare a riviverla. E la cosa che più non riescono a capire è perché non stiamo reagendo velocemente e stiamo sottovalutando la cosa. Hanno capito tutti che stiamo mettendo il business e l'economia davanti alla vita e alla salute».


Come non comprendere ora questo sconcerto ?

«Sicuramente finita questa emergenza torneranno ad avere quel calore che sempre hanno avuto nei nostri confronti e che ancora hanno nei miei visto che, data la mia attuale permanenza oltre le 3 settimane, non rappresento più un pericolo».

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