L’inchiesta sulla “Palude Venezia” e l’interesse collettivo calpestato

Un Mose per la città degli uomini, oltre che per quella delle pietre. Se le barriere mobili servono a proteggere Venezia dall’assalto delle acque alte, urge mettere mano a una diga altrettanto vitale per difenderla dal venefico inquinamento di una corruzione che viene da lontano; e che torna di prepotenza in primo piano con la vicenda giudiziaria che ha investito il Comune. Sulla sua portata non lasciano scampo le parole utilizzate dalla procura: che denuncia “un contesto amministrativo improntato a un’illegittimità diffusa”, e “un sistematico perseguimento di interessi personali”. Come dire: non un’infezione episodica, ma una pandemia diffusa.
Sarà la sentenza finale dei giudici a chiarire responsabilità, reati, sanzioni. Ma non c’è bisogno del verdetto delle toghe per registrare un clima ammorbato dai comportamenti dei singoli, in una vicenda torbida fin dall’inizio, e che al di là delle dichiarazioni d’ufficio si va dipanando tra vistosi imbarazzi e impacciate difese.
E se nell’occhio del ciclone c’è un assessore accusato di lucrosa disinvoltura nell’esercizio delle sue funzioni, la tempesta giudiziaria non risparmia un sindaco su cui si addensa il sospetto di aver lasciato correre, ma soprattutto di aver fatto cadere l’essenziale barriera tra ruolo pubblico e interessi privati.
La si potrebbe liquidare come una delle tante, troppe vicende di corruzione che intersecano le cronache italiane; se non fosse che per Venezia ripropone un devastante “déja vu” con il precedente dello scandalo Mose: certo in termini numerici di gran lunga inferiori, ma assolutamente simile per lo squallido copione. Lì la corruzione si era fatta sistema, coinvolgendo politici e imprenditori, funzionari pubblici e professionisti privati, magistratura e forze dell’ordine, e toccando perfino santa madre Chiesa. E il Mose era diventato una mangiatoia che per un decennio aveva sfamato con pubblici denari legioni di approfittatori, in una malsana alleanza tra corrotti e corruttori.
Gli Arlecchini dell’effimero
Nel suo piccolo, le 940 pagine dell’inchiesta di oggi ripercorrono identici schemi: vedono coinvolti politici, imprenditori e funzionari; rilevano la presenza di un’illegittimità diffusa; segnalano un giro di bustarelle e favori; mettono a nudo il perseguimento sistematico di interessi personali. Un contesto che calpesta l’interesse collettivo e la stessa essenza del diritto, in nome della tutela dei privilegi privati: scendendo a cascata dalle istituzioni al tessuto della vita quotidiana.
Ed è proprio questa la vera, unica lezione che Venezia, al di là delle sentenze prossime venture, deve trarre dall’ennesima ingiuria alla sua immagine ma soprattutto alla sua sostanza: puntare su un rinnovo radicale, profondo, sistemico della sua classe dirigente, non solo politica, per chiudere una volta per tutte i conti col passato.
Da decenni ormai, con rare quanto esemplari eccezioni, la città è stata ostaggio di faide velenose, paralisi devastanti, veti strumentali, squallide esibizioni di Arlecchini dell’effimero; intanto i suoi problemi non solo non sono stati risolti, ma si sono aggravati, sepolti sotto lagune di parole e barene di documenti.
“Venezia è un imbroglio che riempie la testa soltanto di fatalità”, cantava Guccini a inizio anni Ottanta: quarant’anni dopo, merita di liberarsi, una volta per tutte, dei ciarlatani che la tengono in ostaggio.
Il libro-inchiesta

Palude Venezia
192 pag.
in omaggio con la Nuova Venezia solo venerdì 9 e sabato 10 agosto 2024
“Tu non mi ascolti, te lo posso dire? Tu non mi ascolti (bestemmia). Non hai capito, tu non capisci un c…! Mi stanno domandando anche a me che tu domandi soldi. Tu non ti rendi conto, rischi troppo (audio disturbato)... tu non mi stai ascoltando”
Il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro sta parlando all’assessore Renato Boraso. Lo sta mettendo in guardia perché si sta spargendo la voce che prenda tangenti. E ci sono indagini in corso. Lo stesso sindaco è indagato per un concorso in corruzione, ma ancora non lo sa
E’ una inchiesta che parte da lontano, quella sul malaffare veneziano: più di due anni di indagini, migliaia di pagine di atti acquisti, pedinamenti e intercettazioni telefoniche e ambientali con trojan installati nei telefonini, microspie negli uffici comunali tra Venezia e Mestre.
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