Linfomi, vaccino veneto: più alte le speranze di cura

PADOVA. Non solo amici fidati, compagni di passeggiate. Uno studio effettuato sul cane, volto a sconfiggere il linfoma B a grandi cellule (che rappresenta il 20 % dei linfomi Non Hodgkin) apre nuove strade per la cura della stessa patologia declinata nell’uomo. La parola “magica” che ha permesso di ottenere questo risultato, appena pubblicato sulla rivista Clinical Cancer Research (una bibbia del settore), è ricerca traslazionale. Ne è nato un vaccino anti-linfoma, già sperimentato con successo nel migliore amico dell’uomo: un’iniezione, in sinergia con chemioterapia meno intensa, e la sopravvivenza dei cani aumenta fino a sei volte rispetto alle cure con chemioterapia classica. Luca Aresu, ricercatore del dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione dell’Università di Padova, quando ha avviato lo studio, aveva già chiari in mente i risvolti “umani” della cura del cane. Nel 2011, ad appena 31 anni, ha scommesso su di un’idea, in cui hanno creduto anche Laura Marconato, che guida il team di Oncologia medica del Centro Oncologico Veterinario di Sasso Marconi, in provincia di Bologna. Ora lo studio è in fase avanzata, tanto che Patrick Frayssinet, dell’azienda francese Urodelia, ha dato il via alla produzione seriale del vaccino. «Da alcuni anni», spiega Aresu, piemontese di nascita e padovano d’adozione, «mi occupo dei meccanismi molecolari alla base del linfoma nel cane. Negli ultimi due anni lo studio si è rivolto nei confronti di un uno specifico istotipo di linfoma, il linfoma B a grandi cellule. Da anni il cane è considerato come migliore modello spontaneo per questo tipo di linfoma e rappresenta un ottimo modello per lo studio di basi molecolari del cancro e ricerche pre-cliniche volte a individuare nuove strategie terapeutiche. L’animale da compagnia infatti sviluppa spontaneamente la patologia neoplastica. Inoltre, uomo e cane condividono lo stesso ambiente e sono esposti ai medesimi fattori cancerogeni ambientali». Il gruppo di ricerca ha identificato i meccanismi patogenetici alla base del linfoma B a grandi cellule per compararli a quelli dell’uomo. «La storia di questa ricerca scientifica ha inizio nel 2011», continua Aresu, «e ha permesso la realizzazione di un vaccino autologo. Viene utilizzata una piccola porzione del tumore del soggetto per stimolare il sistema immunitario a produrre una risposta cellulare nei confronti del tumore stesso, tramite delle proteine dal nome di heat shock proteins. È questa metodologia che potrebbe permettere, nel breve tempo, di trasferire la tecnologia all'uomo per la cura dello stesso tumore».
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