Lo chef veneto che insegna ai norvegesi come si tratta in cucina il loro baccalà

Franco Favaretto, di Baccaladivino a Mestre: passione ed eccellenza riconosciuta nel mondo. Con un paio di trucchi per prepararlo alla perfezione
Franco Favaretto
Franco Favaretto

VENEZIA. «Potrei parlare per ore di tutte le inesattezze, per non dire le “bufale”, che ho sentito e continuo a sentire sul baccalà». E se lo dice lui, Ambasciatore della Commissione Norvegese per i prodotti ittici, c’è da stare a sentire. Anche perché Franco Favaretto (in foto) sa farsi ascoltare: un po’ per talento comunicativo ma soprattutto per passione, è un divulgatore brillante, che quando parla di sé dice sempre «sono uno chef, tra virgolette» e preferisce definirsi “artigiano della cucina”.

Lo chef lo fa per davvero, nel suo ristorante Baccaladivino a Mestre, ma anche insegnando ad altri chef a preparare il baccalà nelle cucine di tutto il mondo, dai grandi alberghi giapponesi alle corti degli sceicchi, fino alle cucine della Regina di Norvegia. Sì, proprio lei, perché i norvegesi non consumano lo stoccafisso, che esportano al 90% in Italia.

Baccalà alla vicentina
Baccalà alla vicentina

«È buffo: ho insegnato ai cuochi norvegesi come cucinare il loro stoccafisso, ma lì e diffusa l’opinione che lo mangino solo i cani e gli italiani», afferma con il suo sorriso contagioso.

Ma torniamo alle “bufale”. «Ho cominciato a sentirle quando ero bambino e il mio premio, se mi comportavo bene, era assistere alla “battitura del baccalà”, a quella faticosa operazione con la quale lo stoccafisso, la carne essiccata del merluzzo, viene sfibrata prima di essere ammollata in acqua ed essere, infine, pronta per la cucina. Partecipavo a questa sorta di rito collettivo tra commercianti di baccalà assieme a mio nonno, e lì ho appreso che allo stoccafisso essiccato veniva tolta la testa poiché era impressionante, somigliante a quella di un bambino. Ovviamente allora ci ho creduto io come ci hanno creduto in tanti, ma in realtà il merluzzo viene decapitato appena pescato per farlo dissanguare più velocemente».

Polenta e baccalà, abbinamento perfetto
Polenta e baccalà, abbinamento perfetto

Poi quel bambino è cresciuto, ha frequentato l’istituto alberghiero Maffioli di Castelfranco Veneto, è diventato un autentico testimonial della cucina veneta nel mondo, anche con il baccalà che lo ha sempre affascinato. «Poi, una ventina d’anni fa, vedendo che mi stavo sempre più specializzando nelle preparazioni a base di baccalà, Ermanno Tagliapietra – che è uno dei principali importatori italiani di stoccafisso – mi ha invitato ad andare con lui alle isole Lofoten, in Norvegia, dove si salvarono dal naufragio Pietro Querini e il suo equipaggio nel 1432, dando di fatto inizio all’importazione dello stoccafisso a Venezia. Da allora, non ho mai smesso di andare, ogni primavera, in quelle isole magnifiche, dove sono diventato un consulente dei pescatori nella selezione qualitativa degli stoccafissi».

Facciamo un po’ di chiarezza, però: merluzzo, stoccafisso, baccalà. «Quello che in Veneto e in Friuli viene definito baccalà è in realtà lo stoccafisso – ossia il merluzzo essiccato al sole e al vento dei mari del nord – mentre nel resto d’Italia per baccalà s’intende il merluzzo conservato nel sale. A me piace ricordare che ai tempi di Querini a Venezia il latino era ancora piuttosto diffuso, e quel pesce rigido e secco abbia trovato un nome assonante con il termine latino baculus, bastone».

Franco Favaretto con un suo piatto di baccalà
Franco Favaretto con un suo piatto di baccalà

Quando parla di stoccafisso, Favaretto sembra un’enciclopedia vivente. Anche quando smonta tante credenze sul tema. «La più grossa», ci tiene a precisare, «è sicuramente la tanto richiesta qualità “ragno”, che in realtà non esiste. È solo l’alterazione del nome di un pescatore che marchia con il suo nome, Ragner, i sacchi per l’esportazione. E poiché, un tempo, i suoi stoccafissi rappresentavano l’eccellenza del mercato, un nome commerciale è diventato impropriamente il nome di una qualità».

IL TRUCCO/1 «Ammollare lo stoccafisso non è difficile, ma va fatto a una temperatura al di sotto dei 5°C. Possiamo immergerlo in acqua fredda e riporlo in frigo per tre giorni, cambiando l’acqua al mattino e alla sera: se è di buona qualità non emanerà alcun odore sgradevole».

IL TRUCCO/2 «Il baccalà alla vicentina è semplice: si stende la pelle in una pirofila oliata e si adagiano i filetti, poi farina, soffritto di cipolla e acciughe salate e parmigiano reggiano. Si affoga con il latte e s'inforna a 150°C per circa tre ore, finché non forma una crosticina dorata».

 

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