Lo sfogo dell'imprenditore trevigiano: "Meglio licenziare che tenere un lavoratore in cassa integrazione, senza lavorare, pagato dallo Stato"

Luciano Mazzer, al timone della Tegola Canadese a Vittorio Veneto, si vanta di non aver mai licenziato nessuno in 47 anni di lavoro. Ma forse, stando alle sue dichiarazioni, preferirebbe farlo piuttosto che lasciare un operaio a casa in “cig” per mesi
VITTORIO VENETO. «Non possiamo licenziare? Va benissimo, teniamo le persone a casa in cassa integrazione, senza lavorare, pagate dallo Stato. Se qualcuno capisce che senso abbia, me lo spieghi». Luciano Mazzer, al timone della Tegola Canadese a Vittorio Veneto, si vanta di non aver mai licenziato nessuno in 47 anni di lavoro. Ma forse, sentendolo, preferirebbe farlo piuttosto che lasciare un operaio a casa in “cig” per mesi: «Almeno sarebbe più libero di cercarsi un altro lavoro, se qui non ci fosse niente da fare».
 
Senza licenziare le aziende rischiano di fallire? 
«Non finché lo Stato paga la cassa integrazione, e solo se si riesce ad arrivare a fine dicembre. L’unico obiettivo di questa mossa è far dire a Conte che sono diminuiti i licenziamenti e non c’è disoccupazione». 
 
Non serve a salvare migliaia di posti di lavoro?
«No, è tutto illogico, se non licenzio una persona ma la tengo a casa in cassa integrazione senza mai lavorare, con lo Stato che la paga, è come se l’avessi licenziata. Ma poi, a dicembre, cosa facciamo? Tutti quelli che dovevano essere licenziati prima si ritrovano per strada nello stesso momento? Sono decisioni prese da amministratori “borbonici”, che non sanno cos’è l’industria. Anzi, sapete a chi può piacere una misura del genere? A chi ha il secondo lavoro in nero. Per tutti gli altri, sia lavoratori che imprese, è un danno, qualcosa che rovina la società civile. E in ogni caso continua a rinviare il problema, visto che poi a dicembre saranno di nuovo liberi di licenziare». 
 
E la proroga sulla cassa integrazione?
«È essenziale se ci sono ordini che consentono di lavorare almeno alcuni giorni a settimana. Ne abbiamo usufruito anche noi e l’abbiamo sempre anticipata. In questo Paese non ci si potrà mai risollevare se non è chiara una cosa: lo stipendio è la suddivisione dell’utile di un’azienda, l’operaio stacca la sua cedola grazie alla distribuzione del valore prodotto. Non funziona quando i soldi arrivano senza lavoro». 
 
Cosa serve alle aziende per affrontare una crisi che si preannuncia lunga?
«Chi ha perso fatturato dovrebbe essere aiutato con finanziamenti della durata di 15-20 anni su cui spalmare la perdita. Al tempo stesso, una quota del valore della perdita, il 10 per cento, dovrebbe essere data come contributo a fondo perduto, visto che i costi fissi sono rimasti gli stessi. Molti Stati hanno fatto questo».
 
Come va il mercato dopo la ripresa?
«Funzionano alcune zone dell’estero, più l’Asia che l’Europa. Gli Stati Uniti si sono fermati, ma bastano pochi giorni per ripartire: hanno tempi di reazione molto rapidi sia nel bene che nel male. In Italia? Un disastro. Non si sa come far ripartire l’edilizia, non sappiamo che effetto avrà il super bonus per le ristrutturazioni, anzi, non sappiamo nemmeno come funzionerà e da quando, mancano ancora i decreti attuativi. E i progetti rimangono in sospeso».

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