«L’omo grando» e le bustarelle

L’ex segretaria dell’allora governatore dal 1995 al 2000: «Ecco come gli imprenditori pagavano»

VENEZIA. Per cinque anni, dal 1995 al 2000, è stata al fianco di Giancarlo Galan a Palazzo Balbi, era a capo della sua segreteria e ne ha viste tante, poi l’hanno isolata e trasferita perché aveva lanciato l’allarme, riferendo allo stesso presidente della giunta regionale che alcuni imprenditori raccontavano di aver pagato tangenti a lui e ai suoi uomini, e perché si era rifiutata di ricevere e consegnare una busta che conteneva denaro. Ha fatto causa di lavoro alla Regione per demansionamento e ha scritto un libro nel 2008, «L’omo grando», in cui denunciava la corruzione. Fanny Lardjane, allora tra l’altro impegnata in politica (era presidente del Consiglio di quartiere del Lido per Forza Italia), ha cambiato lavoro e città e accetta di risponderealle domande.

Ha più risentito Galan prima o dopo il suo arresto?

«Prima del suo arresto no, non ne volevo nemmeno sentire parlare. Poi gli ho scritto la prima lettera e lui mi ha risposto dal carcere. Se lei già sa probabilmente dagli inquirenti che ci siamo scritti non posso negare, comunque i contenuti delle lettere riguardano soltanto lui e me».

Che pensa di quegli imprenditori che hanno negato di aver finanziato le sue campagne elettorali dopo che lui aveva rivelato i loro nomi?

«Sono rimasta disgustata, so di certo di alcuni di loro, perché proprio loro me lo hanno riferito in confidenza, che hanno pagato. Uno ad esempio, un imprenditore trevigiano si era lamentato con me perché doveva consegnare 400 milioni di lire all’anno. C’era qualcun altro che chiedeva di inserire in Regione questo o quello, tra l’altro è accaduto anche con un giornalista».

E con Chisso è rimasta in contatto?

«All’epoca era un amico e l’ultima volta che ci siamo sentiti è stato poco dopo l’arresto di Claudia Minutillo e della notizia che stava parlando. Lui era molto preoccupato in quei giorni ed evidentemente ne aveva le sue ragioni. Io da subito gli avevo consigliato di dimettersi da assessore non tanto perché sapessi che aveva intascato tangenti, questo non posso proprio dirlo, ma per la sua responsabilità politica nell’intera vicenda. Lui, però, non mi ha ascoltato».

Hanno mai cercato di avvicinarla, di contattarla, dopo che era stata trasferita e isolata?

«Nel giugno 2000 mi hanno messo in condizioni di non lavorare più in Regione, non avevo più un ufficio, una scrivania e nel dicembre dello stesso anno, mi ricordo, un imprenditore di Chioggia mi ha dato appuntamento all’hotel Sofitel e mi ha spiegato che gli avevano detto di offrirmi 500 milioni di lire, allora c’erano ancora quelle, perché io tacessi, io l’ho anche raccontato ad un magistrato che mi ha sentito e lui ha interrogato quell’imprenditore, che naturalmente ha negato».

Ma che pensa dell’inchiesta della Procura veneziana?

«Finalmente, era ora. Comunque Galan non deve diventare il capro espiatorio perché se un politico ruba e incassa tangenti non riesce a farlo senza il sostegno e l’omertà dell’apparato amministrativo. Comunque, credo che questo sistema continuerà anche dopo l’inchiesta su Galan e il Mose di Venezia».

Giorgio Cecchetti

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