Maxi frode fiscale grazie a un patto con la mafia cinese: ecco i nomi degli impreditori veneti arrestati

VENEZIA. Un patto tra italiani e cinesi, un giro d’affari stimato in almeno 60 milioni di euro con il coinvolgimento di imprenditori del centro e nord Italia, faccendieri e intermediari del Veneto orientale che gestivano una rete di società cartiere, e infine esponenti della criminalità cinese di Padova che garantivano, a fronte di un pagamento del servizio variabile tra l’1% e il 3%, il ritorno dei contanti nelle tasche degli imprenditori.
Un meccanismo che, stando ai primi accertamenti, ha permesso di evadere imposte per oltre 10 milioni di euro e di riciclarne altri 2,8 milioni tra il 2017 e il 2020. E potrebbe essere solo la punta di un iceberg della maxi-frode fiscale internazionale. Sono scattati sequestri per 10 milioni di euro. Sono quattro gli arrestati dalla guardia di finanza di Portogruaro che nella giornata di oggi ha dato esecuzione all’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari di Pordenone, Rodolfo Piccin. (Pordenone è la procura competente per quest’area del Veneto orientale)
In carcere sono finiti Severino Pivetta (66 anni), piccolo imprenditore di Fossalta di Portogruaro, Marco Bonaveno (43 anni), di San Michele al Tagliamento, ma residente a Oderzo (si è consegnato ai finanzieri nel tardo pomeriggio di oggi 24 marzo, di ritorno da Bratislava, dove vive per alcuni mesi all’anno) e Michele Battain (46), di Portogruaro. Sono accusati di riciclaggio e di emissioni e utilizzo di fatture false per operazioni inesistenti. Ai domiciliari, con il braccialetto elettronico, Renzo Bertacco (66 anni), di Cessalto (Treviso), accusato di riciclaggio.
Per le operazioni fittizie altre sei persone, residenti nel Veneto orientale o all’estero, risultano indagate: sono le teste di legno, intestatari fittizi delle società cartiere. L’indagine coordinata dal procuratore capo di Pordenone Raffaele Tito e dal sostituto Monica Carraturo, è scaturito dall’inchiesta sul sedicente broker Fabio Gaiatto, condannato in appello a 10 anni per la truffa nella quale sono spariti oltre 70 milioni di euro investiti da migliaia di risparmiatori del Nordest. E ha permesso di scoprire una frode internazionale.
I tre arrestati avevano infatti rapporti con almeno 34 imprese italiane nel settore del commercio di rottami di ferro e bancali di legno (una decina le aziende in Veneto, le altre sparse nel Lazio, nelle Marche e nel Nord Italia) per le quali, attraverso una rete di 26 società cartiere con sede all’estero ma di fatto gestite nel Veneto orientale – dove sono stati trovati, in un’altra perquisizione del giugno scorso, documenti e timbri aziendali – emettevano fatture per operazioni inesistenti. I soldi quindi finivano, ad esempio, in una banca slovacca da dove, con lo stesso meccanismo, partivano con destinazione alcune banche cinesi. E’ qui che – hanno accertato gli inquirenti – un referente cinese dell’organizzazione certificava, con una foto spedita via chat qui in Italia, la buona riuscita del bonifico.
Con la garanzia dei soldi arrivati in Cina, e trattenuta una percentuale tra l’1 e il 3% per il servizio, avveniva la fase della retrocessione: molte sono fisicamente avvenute in corso Stati Uniti a Padova, dove c’è il centro Ingrosso cinese. I referenti cinesi del gruppo davano il contante a Bertocco, che poi lo portava agli altri tre per la restituzione agli imprenditori.
Un patto che avvantaggiava tutti: gli imprenditori, con fatture false, abbattevano il reddito e pagavano meno imposte. Oltre a garantirsi una provvista in nero. I cinesi, con i soldi al sicuro nelle banche del loro Paese, potevano liberarsi del contante. Chi siano i referenti cinesi e quale sia l’origine del contante - evidentemente frutto di attività in nero – è quel che stanno cercando di capire ora gli investigatori.
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