«Mia figlia plagiata ma sono sicuro che tornerà da noi»

PADOVA. Fra un mese sarà un anno esatto da quando Meriem Rehaily ha varcato la soglia della casetta in via Montegrappa ad Arzergrande - con lei solo una sacca con un asciugamano e un cambio per andare in spiaggia con le amiche - per non farvi più ritorno. Il 14 luglio 2015 l’allora diciannovenne studentessa marocchina ha lasciato la sua vita per diventare ufficialmente “soldato dell’esercito informatico” del Califfato di Abu Bakr Al Bagdadi. Eppure, da quello stesso giorno, il padre Roudani, non ha perso la speranza di rivederla: «Meriem deve tornare, tornerà» ripete quasi a volersi convincere, «lei è stata plagiata, è sempre stata una brava ragazza, non può mai aver desiderato davvero di fare del male a qualcuno». Fa due lavori Roudani per mantenere la sua famiglia - di giorno come operaio alla Blue Box di Cantarana di Cona e di sera come sorvegliante in un parcheggio di un ristorante di Piove di Sacco - e rivendica il fatto di non aver mai voluto chiedere aiuto al Comune.
«Siamo brave persone, abbiamo sempre voluto vivere in pace, questi sono gli insegnamenti che ha avuto anche Meriem e sono certo che la rivedremo. Non credo che lei sia andata a combattere sul campo, non ne sarebbe capace. Sentirla chiamare “terrorista” fa male e il fatto che ci sia un mandato di cattura nei suoi confronti mi preoccupa, non perché non sia giusto, ma perché temo che possa allontanare la possibilità che lei rientri in Italia, se mai ne avesse l’opportunità». Perché è solo questo, secondo il padre, che Meriem aspetta: l’opportunità di scappare dalle grinfie dell’Is.
Sarebbe stata la stessa figlia, nella telefonata del settembre del 2015, l’unica che ha fatto alla famiglia da quando è scomparsa, a rivelare di essersi pentita e di voler tornare. Ma sul punto Roudani glissa: «Non voglio dire nulla che possa mettere in pericolo Meriem, dovete cercare di capire in quale brutta situazione ci troviamo. Mia moglie si è ammalata da quando lei è andata via, in famiglia non c’è più serenità. Per tutti noi Meriem è un pensiero fisso. Posso dire che mi ha detto di stare bene e che dobbiamo stare tranquilli. Ma non l’ho più sentita e oramai sono trascorsi tanti mesi». I fratellini più piccoli giocano in strada, davanti alla casa da dove mamma Hadija non esce quasi mai: «A volte mi chiedono della loro sorella ed è difficile dare risposte» ammette pensieroso Roudani, «senti come parlano italiano» dice orgoglioso, «è questo che noi vogliamo, restare in questo paese che amiamo, lavorare e vivere in pace» ripete, «e aspettiamo a braccia aperte Meriem. Sogno il giorno in cui potrò riabbracciarla e sono certo che arriverà, allora sarà una festa». Nei prossimi giorni Roudani attende il visto per far arrivare in Italia la nonna di Meriem, quella che le ha fatto da mamma nei primi anni di vita, in Marocco, quando mamma Roudani e Hadija lavoravano.
«Mia moglie ha bisogno di aiuto, per lei la lontananza di Meriem è insopportabile, il pensiero che possa esserle successo qualcosa di male o di non poterla rivedere la sta distruggendo. Le avevo chiesto di andare un po’ di tempo in marocco per stare con la sua famiglia ma non vuole allontanarsi. In fondo al suo cuore anche lei aspetta Meriem».
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova