Moeche, sepoine, schie, cape e garusoi. Chef Cavallin racconta il pesce della laguna veneta
Tradizione e tanta passione per rendere la degustazione di queste specialità un’esperienza unica e ricercata

QUARTO D’ALTINO
Un mondo di sapori unici, fatto di moeche, sepoine, schie, cape, garusoi e bisatei. Ché di tonni, salmoni e branzini sono ricche tutte le cucine di mare. Ma la laguna, con il suo ecosistema, offre tante emozioni gustative in più. Lo sa bene Carlo Cavallin, chef che nella sua Trattoria Antica Altino, a pochi passi dal Museo Archeologico di Altino, ha fatto del pesce di laguna una specialità apprezzata e ricercata. Carlo è nato 53 anni fa «dove finisce la Laguna», come dice lui, e da 26 gestisce la trattoria che papà Bruno e mamma Amabile inaugurarono cinquant’anni fa. Tra velme e barene ha sempre vissuto e lavorato, tranne il periodo della formazione all’Istituto Alberghiero di Possagno e gli oltre due anni di lavoro all’Harry’s Bar di Venezia («una grandissima fortuna»): è una guida sicura per ricordare la ricchezza della dispensa veneziana di acqua.
Le origini
«La mia trattoria nacque quasi spontaneamente dai miei genitori», ricorda, «Mia madre, che lavorava i campi, era una brava cuoca ed iniziò a proporre la sua cucina casalinga, con un menu limitato, all’epoca apprezzato soprattutto dalle famiglie dell’entroterra, “di passaggio” sulle vecchie strade che portavano alle spiagge». Ma ora che le strade per il mare sono soprattutto altre, la trattoria di Carlo non è più un “passaggio”, ma una meta per chi vuole gustare i sapori di laguna: «Nonostante la mia più specializzata professionalità e la mia costante ricerca di proporre quanto più possibile il pesce di laguna, la mia cucina non si discosta molto da quella di mia madre, almeno nei principi di semplicità, freschezza e dedizione all’esaltazione della materia prima».
Niente mode passeggere
Ed è anche tanto distante dalle influenze delle mode da aver fatto una precisa scelta: «Non propongo alcun genere di pesce crudo, non fa parte del mio stile. Se un fornitore mi porta degli scampi fantastici da mangiare crudi, ad esempio, li acquisto per me e la mia famiglia, non per offrirli ai miei clienti. Loro sanno che qui il menu cambia ogni giorno secondo pescato, ed è sempre tutto cotto». Ma c’è un passaggio fondamentale della sua cucina che Carlo ama più di ogni altro: «So che è un’operazione invisa ai più, ma a me piace moltissimo “curarlo”, il pesce. La pulizia esige pazienza e io ne ho tanta, anche quando si tratta di sepoine, piccole seppie a volte grandi come un’unghia. Oppure delle piccole schie: i gamberetti grigi di laguna che esigono grande attenzione e tanto tempo dedicato alla pulizia per poter essere proposti bolliti. Se non ho il tempo necessario per curarle personalmente, le propongo fritte con il loro morbido carapace, ma non acquisto mai quelle già sgusciate».
Gusci
A proposito di gusci, un’altra delle specialità della cucina di laguna di Carlo sono le moeche, ossia i granchi privi di carapace pescati in fase di muta: «La stagione primaverile è appena finita e già i miei clienti mi telefonano anche da fuori regione per sapere quando saranno disponibili quelle della stagione autunnale. Destano sempre grande curiosità e reale entusiasmo, sia in chi le assaggia per la prima volta sia in chi ne conosce bene il sapore esclusivo e le attende con grande impazienza. “Si vince facile”, quando si ha un prodotto così: basta tuffarle nella pastella, friggerle e servirle subito».
La frittura
Ma questo lo può dire lui che la frittura, operazione delicata e così squisitamente “veneziana”, la conosce bene e la affronta con manualità rara, tanto che la sua paranza di laguna - fatta con i moli (merlani, piuttosto rari in laguna), i gò (ghiozzi), le anguele (latterini), sfogi (piccole sogliole) e altri pesci di piccola taglia - è uno dei must della sua cucina assieme a tanti altri fritti, dal misto del giorno alle fritture “monotematiche” con quel che offre il mercato ittico, dai bisatei (piccole anguille) alle sepoine. Ma non solo dalla laguna veneziana arrivano i pesci che Carlo “scova” grazie anche a un rapporto di fiducia con i fornitori («alcuni rifornivano già la cucina dei miei genitori»). Anzitutto, perché quando la stagione non assicura una varietà sufficiente di sapori con il pesce locale, non si fa problemi a spaziare anche in altre acque per trovare l’ingrediente migliore («In questi giorni sto servendo granchi spagnoli, che trovo ottimi»). E poi perché apprezza molto anche le capelonghe (cannolicchi) di Grado, i canestrei (canestrelli) di Caorle in primavera; le vongole di Scardovari o di Pellestrina («quelle della laguna veneziana non mi convincono mai», spiega). E tutte queste specie “a km 0 o poco più”, solo per parlare della bella stagione. «Ma è la fine dell’estate-inizio autunno la stagione più ricca di pesce di laguna, quando mi sbizzarrisco anche a inventare nuovi primi piatti intrecciando i sapori d’acqua con quelli dell’orto». Insomma, le acque salmastre della laguna offrono una gamma infinita di sapori, alcuni celeberrimi – almeno tra i cultori – come le moeche, altri spesso poco considerati. Come mai? «Forse siamo abituati ai pesci più consueti, anzitutto, e a volte sento anche dire che i pesci di laguna “sanno di fango”, ma in realtà basta pulirli con grande attenzione e conoscerne bene le carni, per evitare questo inopportuno retrogusto e poterne apprezzare tutte le loro unicità». —
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