Morricone, la musica che ci fa sentire figli di un tessuto comune

A graffiti mural, created by the artist Harrygrebdesign, depicting the Italian composer and conductor Ennio Morricone in the Trastevere district of Rome, Italy, 06 July 2020. The Oscar winner died in the night in a Roman clinic, for the consequences of a fall. The musician and composer, author of famous soundtracks of Italian and world cinema, was 93 years old. A few days ago he suffered a broken femur. ANSA/FABIO FRUSTACI
A graffiti mural, created by the artist Harrygrebdesign, depicting the Italian composer and conductor Ennio Morricone in the Trastevere district of Rome, Italy, 06 July 2020. The Oscar winner died in the night in a Roman clinic, for the consequences of a fall. The musician and composer, author of famous soundtracks of Italian and world cinema, was 93 years old. A few days ago he suffered a broken femur. ANSA/FABIO FRUSTACI

Pensare a Morricone mi fa un po’ male. Non dolori lancinanti, piuttosto una fitta sotterranea, vecchie cicatrici che tornano a farsi sentire. Il film preferito da mia madre era Mission, e, diceva, era proprio la musica di Morricone a comunicarle le emozioni più intense. Le avevamo pure regalato l’audiocassetta con la colonna sonora. Questo dolore vecchio è ancora vivo, come le bronse sotto la cenere, perché al termine del suo funerale venne eseguito proprio il tema di Mission. Quel giorno non avevo pianto, ma all’udire quelle note spandersi lungo la navata iniziai a piangere, e mi fece bene.

Con la musica va così, questo linguaggio non verbale tocca corde più profonde del nostro essere, più delle parole, più delle immagini. Ma Morricone ha fatto qualcosa di più. Perché la serie infinita di armonie che ha donato al cinema del 900 costituisce, di fatto, un’esperienza sia intima che collettiva. Nella nostra civiltà individualista e razionale abbiamo perso la capacità, propria della pòlis o delle comunità medievali, di vibrare come un corpo unico di fronte alla tragedia, o al Passio recitato al Venerdì Santo. Però forse, di nuovo come le bronse, un’ombra residua di questa catarsi collettiva è arrivata a noi.

E infatti camminando per strada puoi essere sicuro che quell’uomo sconosciuto che ti ha appena incrociato ha riso e pianto come te seguendo la vita di Noodles in C’era una volta in America. O che anche quel ragazzo in motorino, in fondo in fondo, non può fare a meno di voler bene più a Tuco Benedicto Pacifico Juan Maria Ramirez (detto il Porco) che al Biondo de Il buono, il brutto e il cattivo.

E ciò che rende quest’ultima ombra di immaginario condiviso così forte, così radicata, non è tanto l’immagine, quanto la musica che Morricone ha saputo donare a quelle immagini. Quelle note continuano ad essere un tessuto connettivo che ci lega e ci permette di sentirci, una volta tanto, figli di qualcosa di comune.

Morricone ha conciliato il rigore dell’arte con la popolarità, ed è riuscito in ciò senza negarsi alle logiche dei consumi, pur senza esserne corrotto. Questo, credo, è uno degli ingredienti essenziali che creano un classico. A conferma della “classicità” di Morricone chiamo in aiuto le definizioni che di “classico” diede Calvino in un suo celebre scritto. Prima di continuare, però, provate a far riecheggiare nella vostra mente quella melodia di Morricone cui più vi sentite legati. Adesso verificate se queste definizioni sono valide anche per voi. Addio Maestro, e grazie di cuore!

È classico ciò che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno.

È classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile fa da padrona.

 

* Paolo Malaguti è nato a Monselice (Padova) nel 1978. Attualmente lavora come docente di Lettere nella provincia di Treviso e di Vicenza. Con la casa editrice Santi Quaranta ha pubblicato Sul Grappa dopo la vittoria (2009), Sillabario veneto (2011) e I mercanti di stampe proibite (2013). Il suo ultimo romanzo è "Se l'acqua ride", edito da Einaudi

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