Mose, trovati i finanziamenti mancanti

VENEZIA. Arrivano i soldi mancanti del Mose. La legge di bilancio 2017 non ne ha stanziati. Ma saranno attinti dal «Fondo per il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese» (1900 milioni solo per il 2017), come previsto dal nuovo Codice dei Contratti pubblici. Ne è sicuro Giuseppe Fiengo, commissario del Consorzio Venezia Nuova noninato dall’Anac al vertice della struttura dopo lo scandalo Mose. Avvocato dello Stato che si occupa dei bilanci del Consorzio nell’era post tangenti.
221 i milioni che mancano all’appello. Una goccia nel mare dei 5 miliardi e mezzo della grande opera. Ma una goccia importante. Perché senza quei soldi le imprese non potranno completare interventi già approvati. «Ne abbiamo parlato con i direttori generali del ministero», dice Fiengo, «i fondi ci sono e saranno destinati nel momento in cui saranno effettivamente necessari». I 221 milioni sono stati destinati per i lavori di «compensazione» prescritti dall’Unione europea. Nel 2003 l’Ue aveva aperto una procedura di infrazione a carico del governo italiano perché i cantieri del Mose a Santa Maria del Mare e al Lido erano stati aperti in violazione delle Direttive europee sull’ambiente, in zone protette e vincolate. Procedura sollecitata allora dal mondo ambientalista e dall’ex commissario europeo all’Ambiente Carlo Ripa di Meana. Alla fine l’Europa aveva archiviato. In cambio di una serie di interventi di «mitigazione». Per rendere più leggero l’impatto del cantiere sulla spiaggia, dove si erano costruiti gli enormi cassoni in calcestruzzo adesso sul fondo della laguna per sostenere le paratoie. Ma quegli interventi sono andati alla fine in conto ai contribuenti italiani e non a chi aveva progettato e autorizzato i cantieri «abusivi».
Una parte sono già stati finanziarti dal Consorzio che adesso li rivuole, per pagare le imprese consorziate che batono cassa. Sono 45 milioni per la «riqualificazione ambientale» a Pellestrina e Lido, che si aggiungono ai 138 per lavori alle bocche di porto, ai 37,5 necessati per trasformare l’area dell’Arsenale Nord e dei Bacini di carenaggio in centro di manutenzione e pulizia delle paratoie.
Una scelta da molti criticata, strascico degli anni in cui il potente Consorzio decideva anche la politica urbanistica della città. «Meglio spostare la manutenzione a Marghera, dove ci sono molte aree disponibili», hanno proposto i comitati, «invece di occupare l’Arsenale, che dovrebbe esser riconsegnato alla città e non può diventare il magazzino del Mose». Ma per il momento si va avanti in quella direzione.
Il costo finale del sistema Mose è dunque quantificato in 5493,15 milioni di euro. Gestione e manutenzione escluse (almeno 80 milioni l’anno). Lo certifica il Comitatone del 21 luglio 2011, in base ai calcoli fatti dallo stesso Consorzio. L’11 maggio del 2005 viene approvato l’atto aggiuntivo tra Magistrato alle Acque e Consorzio Venezia Nuova – oggetto di verifiche da parte della Guardia di Finanza e della Procura – che definisce il nuovo «prezzo chiuso». Un prezzo a corpo, che non dovrebbe essere soggetto ad aumenti nelle varie voci. In realtà prevede clausole molto favorevoli al concessionario unico, che dal 1984 gestisce in regime di monopolio gli ingenti finanziamenti della grande opera.
Soldi comunque approvati da tutti, compresa la Corte dei Conti. E adesso il Consorzio batte cassa. Basteranno gli ultimi 221 milioni a completare la grande e discussa opera nei tempi previsti, cioè entro il luglio del 2018? I dubbi sono tanti. Anche perché restano sull’opera molte incognite tecniche. Come la tenuta delle cerniere e dei loro materiali, la subsidenza, i detriti.
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