I volti in bianco e nero delle detenute della Giudecca

Valerio Bispuri ha fotografato le donne nel carcere femminile veneziano: «Sono stato con loro cinque giorni, mangiavamo insieme, parlavamo. Avevo chiesto loro di essere naturali e mi hanno mostrato la loro vita interiore»

Maria Ducoli
Una delle foto scattate al carcere della Giudecca
Una delle foto scattate al carcere della Giudecca

Non ci sono colori negli scatti di Valerio Bispuri, perché è come se dietro le sbarre tutto assumesse un’unica tonalità; come se il mondo si riducesse a una sola gradazione di grigio. Anche perché, come si fa a vedere i colori nello spazio asfissiante di una cella in cui i tre metri quadrati calpestabili per persona sono spesso un miraggio? Anche di questo parlano le fotografie di Bispuri, fotoreporter di fama internazionale che ha raccontato la vita quotidiana dei detenuti in dieci carceri italiane nella mostra “Prigionieri”, che si è appena conclusa a Pisa.

L’esperienza alla Giudecca

Nel suo viaggio nel mondo parallelo delle strutture detentive, a un passo da noi e al tempo stesso eternamente distanti, Bispuri nel 2018 è arrivato anche nella casa di reclusione femminile della Giudecca.

«Credo sia una delle carceri più belle che abbia visitato» commenta, «non si è trattato solo di scattare foto, sono stato con loro cinque giorni, mangiavamo insieme, parlavamo. Avevo chiesto loro di essere naturali e mi hanno mostrato la loro vita interiore».

Così, storie spesso complesse, cicatrici difficili da rimarginare, sono venute a galla e sono state catturate dall’obiettivo della macchina fotografica. A prevalere, però, è l’aspetto comunitario: lo spazio ristretto che diventa spazio condiviso, il cortile da cui guardare - insieme - un ritaglio di cielo. «Ciò che mi ha colpito è stato il legame affettivo delle detenute, che non si trova spesso» conferma.

Il racconto fotografico di Bispuri è il sequel italiano di Encerrados, viaggio in 74 strutture detentive del Sud America.

Nelle realtà più difficili

Così, il fotoreporter è entrato in alcune delle realtà più difficili, dal Regina Coeli di Roma a San Vittore di Milano.

«Quella delle carceri italiane è una situazione drammatica», dice, «tra sovraffollamento e disagio mentale, sembra che i nostri detenuti non abbiano speranze e questo si riflette nell’alto numero di suicidi. Questo modello di carcere è ancora pressoché punitivo, sono poche le realtà che hanno superato questa logica» fa presente. Se la casa di reclusione della Giudecca è un piccolo mondo a sé, considerando le tante attività di inserimento lavorativo e di formazione per le detenute e il loro numero ancora contenuto, non è così in altre carceri italiane. «Le più problematiche sicuramente sono Poggioreale a Napoli e Regina Coeli a Roma» commenta, aggiungendo che la realtà che l’ha colpito più positivamente è Isili in Sardegna, una colonia penale in cui buona parte dei detenuti lavora fuori, a contatto con la comunità.

La prima volta in Ecuador

Bispuri, che è entrato per la prima volta a visitare un carcere in Equador nel 2001 e da allora ha sempre continuato il suo viaggio a stretto contatto con gli ultimi degli ultimi, non ha dubbi: «Il modello del carcere si può superare, ma serve un’adeguata politica riabilitativa. Bisogna dare la possibilità ai detenuti di studiare e lavorare, nell’ottica di un reinserimento nella società».

Serve, a suo dire, più apertura verso il problema della detenzione. «Eppure, se oggi o se soprattutto oggi ancora manca, è perché non fa comodo a nessuno, né alla politica né ai cittadini. Bisogna fare un salto di qualità» conclude.

Le foto scattate a Venezia

 

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