Nasce con il cesareo a 25 settimane. Salvati bebè e mamma colpita dal virus

La straordinaria storia di speranza di Jenni, 29 anni: «In 20 minuti ho dovuto decidere della vita mia e di mio figlio»
Villa del Conte(PD), 19 marzo 2020 I due coniugi Samuele Caon e Jenni Beghin, con il figlio neonato Alessandro Caon
Villa del Conte(PD), 19 marzo 2020 I due coniugi Samuele Caon e Jenni Beghin, con il figlio neonato Alessandro Caon
PADOVA.«In venti minuti ho dovuto decidere e da questa mia decisione dipendeva la mia vita e soprattutto quella di mio figlio». Quella scelta, oggi, vale due vite. Quella di Jenni Beghin, che ha compiuto 29 anni ieri, di Villa del Conte, incinta di sei mesi e costretta al ricovero in terapia intensiva perché il maledetto virus l’aveva ridotta quasi in fin di vita. E poi quella di Alessandro, 840 grammi di peso, nato in 25 settimane, neonato che oggi può davvero diventare il simbolo della speranza per tutti coloro che devono lottare con il Covid-19.
 
Villa del Conte(PD), 19 marzo 2020 I due coniugi Samuele Caon e Jenni Beghin, con il figlio neonato Alessandro Caon
Villa del Conte(PD), 19 marzo 2020 I due coniugi Samuele Caon e Jenni Beghin, con il figlio neonato Alessandro Caon
 
L’ATTESA E LA FEBBRE
 
Jenni ha dovuto prendere la decisione di dare alla luce Alessandro prematuramente in uno stato emotivo pesantissimo, dopo giorni di febbre a 40 e con i polmoni ormai allo stremo, lontano dai suoi affetti più vicini, sostenuta solo dall’umanità incredibile e dalla grande professionalità dei medici.
 
Jenni Beghin è impiegata di una ditta metalmeccanica, come il marito Samuele Caon, 29 anni anche lui. I due sono sposati da settembre e da allora attendono l’arrivo del piccolo Alessandro.
 
Una settimana fa, però, qualcosa si complica. La febbre, che la giovane deve sopportare da almeno dieci giorni e che il medico di base cura con tachipirina, sale fino a 40 gradi. «È passata da 38 a 40 in poche ore e quindi abbiamo chiesto l’intervento del 118, visto che Jenni stava quasi perdendo i sensi» racconta Samuele. «Mentre era in viaggio in ambulanza verso Cittadella, le sue condizioni si sono aggravate e i medici hanno deciso di portarla direttamente a Padova con codice rosso». Jenni viene ricoverata nel reparto di Malattie infettive ma le sue condizioni si aggravano ulteriormente: serve maggiore ossigeno e dunque la 29enne finisce in Terapia intensiva e viene intubata.
 
TERAPIA INTENSIVA
 
«I miei polmoni non riuscivano più a lavorare, intaccati dal virus e schiacciati dal bimbo che avevo in grembo», ricorda Jenni. Che, alle 20 di sabato sera, deve prendere una decisione. «In venti minuti i medici mi hanno chiesto di decidere: far nascere prematuramente Alessandro o attendere, mettendo a rischio la mia vita e anche quella del bimbo».
 
La giovane madre ricorda il dramma di quei minuti: «Arrivavo da due giorni di Terapia intensiva, e cioè da un incubo a occhi aperti fatto di continui segnali d’allarme, persone nascoste da mascherine, letti occupati da persone che rischiavano la vita. Lontana da mio marito, dai miei genitori». 
 
LA SCELTA
 
La straordinaria vicinanza e il chiaro quanto brutale consiglio di medici convince Jenni a partorire. «Alle 3 di domenica notte un medico mi ha chiamato per dirmi che Alessandro era nato e che Jenni stava bene. Sono state ore, e prima ancora giorni, di estrema angoscia. Non potevo essere lì, a tenere la mano a mia moglie in quel momento, e non potevo vedere mio figlio che veniva al mondo. Ma ero lì solo a sperare che tutto andasse bene, e quella era l’unica cosa importante».
 
Alessandro, 840 grammi al primo vagito, è nato a 25 settimane. È stato immediatamente intubato e trasferito in Terapia intensiva neonatale. Sia Jenni che Alessandro, da qualche giorno, respirano in autonomia. E poi c’è l’altra bella notizia: «Il mio bambino è stato sottoposto a due tamponi, ed entrambi sono risultati negativi. Non risulta contagiato. Il nostro è un caso così limite che alcuni pezzi di placenta sono stati inviati agli studi di ricerca, nella speranza di poter dare un contributo alla scienza».
 
NUOVA VITA
 
In questi giorni i contatti tra madre, bimbo e marito avvengono solo virtualmente: «Nonostante il carico di lavoro e lo stress del momento, le ostetriche e le infermiere della terapia intensiva neonatale organizzano ogni giorno più di una videochat con Alessandro», racconta mamma Jenni. Il personale sanitario è riuscito a mettere in contatto Jenni e Samuele anche quando la donna era ricoverata in Terapia intensiva, nonostante tutte le restrizioni del reparto. «C’era bisogno di vicinanza, e non me l’hanno fatta mai mancare» continua la neomamma, che non sa più come spendere elogi al personale sanitario.
«Dalle continue carezze durante il primo viaggio in ambulanza alla lucidità con cui sono stata guidata al momento della scelta, passando per il fiocco azzurro allestito in pronto soccorso, esprimo tutta la mia gratitudine a queste persone, che alla professionalità hanno saputo anche accostare una sensibilità incredibile. A loro dobbiamo la vita io e il mio Alessandro». —
 
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