’Ndrangheta, le mani su Verona Miglioranzi: nessuna mazzetta

L’ ex presidente dell’azienda rifiuti Amia si avvale della facoltà di non rispondere Il suo legale: «Chi lo accusa è poco credibile, quei 3 mila euro erano un prestito»
Andrea Miglioranzi
Andrea Miglioranzi

venezia

«Un mare divide un’associazione criminale dalla ’ndrangheta. E qui siamo in presenza di congetture da parte di un chiacchierone intercettato in macchina con la moglie». È tutta incentrata sui «vuoti enormi della vicenda» la linea difensiva scelta dall’avvocato Nicola Galante, difensore di Andrea Miglioranzi (ex presidente di Amia) nell’inchiesta della procura di Venezia sulla locale calabrese che aveva messo le mani sulla città scaligera coinvolgendo vari esponenti della pubblica amministrazione in una rete criminale che vede indagate sedici persone per associazione mafiosa. E da cui – truffa, riciclaggio, estorsione, traffico di droga, corruzione – emerge anche il nome dell’ex sindaco, Flavio Tosi, indagato per peculato.

Ieri, L’ex presidente dell’azienda dei rifiuti è comparso (da remoto) davanti al giudice per l’interrogatorio di garanzia. Ai domiciliari per corruzione e tentata turbativa d’asta (ma non per concorso esterno in associazione mafiosa, come specificato nell’ordinanza con cui il gip Lanceri ha disposto le 26 misure d’ordinanza nell’inchiesta Isola Scaligera), ieri Miglioranzi ha fatto scena muta, avvalendosi della facoltà di non rispondere. È allora il suo avvocato a smontare gli episodi che lo vedono coinvolto. Basandosi, appunto, sui «vuoti» dell’inchiesta. Provocati, secondo la difesa, da una figura ben precisa: Nicola Toffanin, esponente di spicco della locale’ndranghetista legata alla famiglia Giardino. «Un vanaglorioso», spiega l’avvocato, «la cui credibilità è molto labile». Per la difesa, non esiste la mazzetta da tremila euro per gestire l’assegnazione dei corsi di formazione ricevuta da Francesco Vallone (titolare del centro studi Enrico Fermi di Verona, finito in carcere come “organizzatore dell’attività mafiosa”) e Toffanin. «Si trattava di un prestito», spiega Galante, «e abbiamo la documentazione della restituzione». Così come non si può nemmeno parlare di turbativa d’asta: «I corsi di formazione non erano mai iniziati, e si era in presenza di un affidamento diretto». Infine, il filone che chiama in causa anche l’ex sindaco Flavio Tosi, accusato di concorso in peculato per una distrazione di fondi di Amia, 5. 000 euro, imputata a Miglioranzi, per pagare la fattura di un’agenzia di investigazioni privata (dalle indagini, risulta anche l’incontro con lo stesso Toffanin e Miglioranzi). «Anche in questo caso», conclude l’avvocato, «non ci sono prove se non i riferimenti del vanaglorioso Toffanin che parla con la moglie. Di fatture pagate da Amia all’agenzia di investigazioni ne esistono, e molte: l’azienda aveva subito vari furti di benzina e altri illeciti da parte di alcuni suoi dipendenti, e aveva assegnato l’incarico per scoprirne i responsabili». Davanti al giudice, ieri è comparso anche Ennio Cozzolotto, difeso dall’avvocato Claudio Avesani. Il direttore di Amia, accusato di corruzione e tentata turbativa d’asta, si è detto estraneo alla vicenda. —



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