Operatori incapaci e strutture inadeguate

Realdon Cristoferi: «Carenza quantitativa e qualitativa. E per gli adulti autistici la situazione è tragica»

PADOVA. La dottoressa Vittoria Realdon Cristoferi è la responsabile del Centro sperimentale per i disturbi dello sviluppo e della comunicazione, convenzionato con l’università di Padova, e presidente dell’associazione Oikia, affiliata Acli, che segue bambini e ragazzi affetti da autismo. Medico Neuropsichiatra dell’età evolutiva e Psicoterapeuta, già primario di Neuropsichiatria infantile E docente di Psicologia clinico-dinamica dell’università di Padova, grazie al Centro la professoressa continua a incontrare bambini, ragazzi, genitori e insegnanti per trovare insieme a loro soluzioni alle difficoltà e alle sfide che si presentano nella loro vita. «Costruiamo con le famiglie e con i servizi progetti personalizzati perché ciascun caso ha esigenze diverse, operiamo con una equipe di professionisti».

Parliamo di autismo.

«Fondamentale è la diagnosi precoce, possibile già dal secondo anno di vita: i segnali più evidenti sono il ritardo nel linguaggio e il fatto che il bimbo non risponde al suo nome, tanto che il primo dubbio è che sia sordo. Il bimbo autistico è interessato agli oggetti più che alle persone, si perde nelle sue percezioni sensoriali e sembra non cogliere la diversità del contatto con oggetti e persone. Se desidera un oggetto non lo indica al genitore perché glielo porga, ma urla e si dispera. Nelle forme più estreme del disturbo, si isola completamente e il genitore sente con dolore di non riuscire a avvicinarlo come vorrebbe o come ha fatto con altri figli».

Un altro aspetto tipico è il cosiddetto «sguardo sfuggente»: il bimbo stenta a guardare negli occhi, vi si sottrae rapidamente.

«Appare come una estrema forma di timidezza, la difficoltà a entrare in contatto con l’altro. Ma l’emotività è presente, pur essendo difficoltosa la capacità di esprimerla. Spesso c’è una ipersensibilità sensoriale, non solo emotiva, ma anche uditiva, visiva o tattile. Non è facile conviverci perché si è di fronte a uno sviluppo atipico, cui genitori e insegnati non sono preparati».

Fino a 10 anni fa si abbinava all’autismo un deficit cognitivo nel 75% dei casi, oggi siamo al 30%.

«Spesso è solo il derivato di un approccio inappropriato, di molta ignoranza e volontà di imporre, in buona fede o meno, modelli “normali” di crescita che sono invece tragicamente inadeguati. Si pensa troppo alla malattia, a far scomparire la diversità, piuttosto che trovare soluzioni capaci di far fiorire la vita e l’intelligenza nei differenti modi di essere. Sono necessari interventi specifici e l’estensione sin dai primi anni di vita a tutti i contesti di un progetto educativo, costruito con la famiglia. E anche se i cambiamenti e i miglioramenti sono evidenti quando il lavoro di recupero c’è ed è fatto presto e bene, è un impegno che non finisce mai. E purtroppo le Usl non sono tutte in grado di assicurare percorsi adeguati: c’è carenza quantitativa ma anche qualitativa di figure preparate per l’autismo, latitano i progetti mirati».

E per chi diventa adulto?

«Per gli adulti il dramma è ancora peggiore, sballottai dalla Psichiatria alla Disabilità, ma il caso non rientra né nell’una né nell’altra sfera, così ognuno può lavarsene le mani come lamentano famiglie più o meno disperate. Si parla di autismo infantile precoce, è considerata una malattia dei bambini, non è nemmeno codificata la diagnosi dopo i 18 anni, come se il disturbo sparisse».

Assurdità di un sistema che non sa dare risposte. (e.l.)

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