Opere anti alluvione i soldi sono in cassa gli appalti slittano
VENEZIA. Due clessidre incombono sui veneti: una reale, l’altra virtuale. La prima, di dimensioni canoniche, diventata leggendaria tra i frequentatori dell’ufficio, è quella che campeggia sulla scrivania di Gianpaolo Bottacin, assessore regionale all’ambiente: i colloqui con lui, quali che siano, vengono scanditi dallo scorrere della sabbia nello strumento. La seconda, ben più macroscopica, è quella che rischia di entrare in funzione alla prossima criticità grave del maltempo. Perché sono in ritardo molte delle opere previste per impedire che si verifichi un bis della catastrofica alluvione del novembre 2010 (3 morti, 3.500 sfollati, 262 Comuni colpiti, danni per 426 milioni): pur regolarmente finanziate, non sono ancora andate in appalto. Ed è ormai certo che i tempi previsti slitteranno anche di un paio d’anni: opere che avrebbero dovuto essere aggiudicate entro il 2016 slitteranno, se va bene, a fine 2017; qualcuna arriverà al 2018. E in ogni caso una conseguenza è matematicamente certa: aumenteranno i costi.
L’elenco parla chiaro. Prendiamo lo stato dell’arte al 15 settembre 2015, quale risulta dai documenti del Dipartimento Difesa del Suolo e Foreste. L’invaso sull’Orolo tra Costabissara e Isola Vicentina, per 1 milione di metri cubi, costo di 11 milioni, avrebbe dovuto andare in appalto entro luglio; slitterà a fine 2017. Quello di Montebello a servizio del torrente Chiampo, tra Montorso, Zermeghedo e la stessa Montebello, per 9 milioni 700mila metri cubi, costo di 51 milioni, previsto come appaltabile entro giugno, andrà al 2018. Il primo stralcio di quello sull’Astico, tra Sandrigo e Breganze, per 5 milioni di metri cubi sui 10 totali, costo di 35 milioni sui 70 totali, segnalato come appaltabile entro settembre, avrebbe dovuto finire a sua volta al 2018. In realtà di recente Zaia ha spiegato che non si farà più. La cassa di espansione sul Muson dei Sassi, tra Fonte e Riese Pio X, per 999mila metri cubi, costo di 17 milioni, i cui lavori avrebbero dovuto iniziare nel dicembre scorso, è stata bloccata a lungo da un ricorso all’Authority anticorruzione; peraltro è arrivata di recente notizia che la procedura di gara non era corretta, ragion per cui se ne parlerà chissà quando. Per il bacino di laminazione sul Livenza a Prà dei Gai, 24 milioni di metri cubi, costo di 39 milioni, i lavori avrebbero dovuto iniziare entro giugno, ma in realtà devono ancora essere assegnati.
Ben diversa era stata l’efficienza nella giunta regionale precedente, pur guidata dallo stesso Zaia. Grazie al lavoro tra le componenti politica, burocratica e tecnica, tutte le opere previste sono andate in appalto; a partire dalla messa in sicurezza idraulica dell’area metropolitana di Vicenza grazie al bacino di laminazione lungo il Timonchio a Caldogno (3 milioni 800mila metri cubi, costo di 40 milioni): l’unico che sarà in grado di entrare in funzione entro l’anno (una parte è già pronta, l’altra dev’essere sgombrata da un carico di rifiuti), per proseguire con altre sei, del valore di 34,5 milioni. Dopo le elezioni regionali dello scorso anno, con il cambio di giunta il meccanismo si è inceppato, con una serie di effetti qualcuno dei quali addirittura paradossale: come nel caso del bacino di Trissino, dove i lavori sono stati regolarmente appaltati e dati in esecuzione a un consorzio di imprese; ma sono rimasti fermi per mesi, a causa del blocco della delibera che autorizzava la commercializzazione della ghiaia estratta, peraltro già prevista nella gara di appalto. Per non parlare dei lavori di manutenzione, comunque fondamentali: le risorse disponibili ammontano a un milione per provincia, come dire un’elemosina.
A complicare la questione è intervenuto indubbiamente un fattore esterno, e cioè il nuovo codice degli appalti varato dal governo: che peraltro è scattato dal 19 aprile scorso; e non si vede perché non si sia voluto o saputo pubblicare in tempo i relativi bandi malgrado i relativi avvisi fossero stati resi noti dalla stessa Regione il 4 gennaio. E a influire è innegabilmente anche una sorta di timore reverenziale nei confronti delle procure, dopo il terremoto del Mose. Aggiungiamoci pure la coperta corta, per via dei chiari di luna della finanza pubblica. Ma non basta a spiegare la situazione di stallo che si è venuta a creare: per la quale le imprese del settore chiamano direttamente in causa l’assessore (cui Zaia aveva già tolto alcune deleghe appena tre mesi dopo il varo della giunta), ma anche l’intera catena di comando, dalla presidenza ai funzionari. Facendo notare che nella precedente amministrazione, con lo stesso presidente ma con un diverso assessore, le cose funzionavano. E uno di essi aggiunge: «Ha un bel dire Zaia ai funzionari della Regione che non vuol vederli a pranzo con gli imprenditori nei ristoranti di Venezia. Faccia funzionare la macchina, avviando i lavori ed erogando fondi già stanziati; e vedrà che nessuno di noi perderà più tempo ad andare a Venezia per cercare di sbloccare le pratiche». E c’è anche chi chiama in causa le questioni interne alla Lega, in cui esiste una componente che critica pesantemente lo stesso Bottacin.
Va rilevato, al riguardo, che praticamente tutti i soldi investiti per l’idraulica e la bonifica arrivano da fondi europei o da ordinanze statali, come accadde dopo l’alluvione del 2010 con i 400 milioni stanziati dal governo Berlusconi: di suo, la Regione non ci mette nulla, deve solo amministrarli. E ogni perdita di tempo porta con sé il rischio di vederli revocare, specie da Bruxelles. Resta il fatto che anche quando saranno completati tutti i bacini previsti dal piano D’Alpaos, in Veneto mancheranno ancora 12 milioni di metri cubi d’acqua da sistemare. E gli imprenditori del settore sono preoccupati, anche perché, come spiega uno di loro, «se si blocca la realizzazione di una ferrovia al limite vai in macchina; ma se diluvia vai sotto e basta».
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