Ostriche e vongole come l’oro i pescatori record del Veneto

INVIATO A PORTO TOLLE. C’è un posto nel Veneto ricamato da canali e isolotti che emergono e scompaiono con il flusso delle maree, cancellati dalle piene del Po, dove crescono le ostriche che i francesi si godono con lo champane. Un posto così dolce e da favola dove “gli uccelli volano più bassi dei pesci,” racconta l’ingegnere idraulico Giancarlo Mantovani, perché la campagna si è adagiata 3-4 metri sotto il livello del mare da quando l’Eni di Enrico Mattei decise di succhiare il metano: dal 1951 al 1970, era l’Italia del boom.
Siamo nel Delta del Po, che sogna di diventare un parco ecologico dopo aver salvato la bolletta energetica dell’Italia. A Pila di Porto Tolle la centrale dell’Enel svetta altissima fra le barene e gli “scanni” e sovrasta i cormorani, i delfini, le anguille, i cefali, le sarde, i polipi e le seppie, le capesante, le ostriche e poi le cozze e le vongole, diventate una miniera d’oro nel giro di 30 anni grazie a un ricercatore che importò la varietà indonesiana, più grande e saporita, madre di tutti i successi.
Il report di Banca Intesa. Quel totem dell’Enel che doveva bruciare carbone sta per essere smontato e lasciare il posto a un mega resort turistico, affare da 40 milioni di euro. Il rapporto di amore e odio dura dagli anni Settanta, quando ci fu l’assalto al municipio di Porto Tolle per ottenere la compensazione del danno ambientale e l’Enel firmò un assegno di tre miliardi di lire, prima pietra della rinascita. Anche da quelle lotte è nata una storia di successo, raccontata con orgoglio dai pescatori ed entrata nel Ghota dell’analisi di Banca Intesa: il 45% del pesce azzurro che arriva sulle tavole del Veneto esce da questo mare, uno dei più importanti distretti ittici d’ Italia, un brand di eccellenza che va salvato e tutelato. Ci lavorano 1500 pescatori, 900 donne, con 66 milioni di euro di fatturato.
Quella di Pila è una storia antica, di lotta tra l’uomo e la natura, che ha segnato il Polesine con le drammatiche alluvioni del 1951 e del 1966, regolata da un’antica legge della Serenissima di Venezia per cui l’uomo è padrone “fin all’onda del mar” e migliaia di scariolanti con le carriole hanno bonificato le paludi e conquistato km di terreno negli anni del Duce. Le foto dell’epoca raccontano un’epopea di fame ed emigrazione. Ora a Pila è arrivato il vero benessere e l’ha portato il mare, ma lo status si può infrangere perché i pescherecci rischiano di restare incagliati tra la melma e le onde dell’Adriatico. Basta poco e Graziano Azzalin, che ama questa sua terra più di quanto Luca Zaia ami le colline del Prosecco, ha dato battaglia in consiglio regionale e la giunta ha stanziato prima 200 mila e poi 700.000 euro per scavare i canali e rimuovere gli ostacoli: bisogna fare in fretta perché l’estate torrida porta l’asfissia dell’acqua salmastra.
Il rigassificatore di Galan. Alla cooperativa di pescatori di Pila, raccontano che queste lagune erano profonde 5-6 metri anni fa e se ora qualcuno sapesse camminare in mezzo al fango potrebbe arrivare fino al mega-rigassificatore, ultimo business tecnologico voluto da Galan che ha nel metano il suo dna, adagiato sul mare a 15 miglia dalla costa e che bisticcia con gli allevamenti di cozze.
«La sedimentazione del Po sta creando grossi problemi, noi siamo un’ eccellenza e vogliamo essere tutelati» spiega Fabrizio Boscolo, presidente della coop di Pila. «Qui vivevano nel dopoguerra 1800 persone, ora siamo in 350 gli altri sono fuggiti». Sotto le cavane “dormono” i pescherecci, gioielli di tecnologia con monitor computerizzato che fotografano il fondo e avvistano il pesce. Il problema è l’ingresso a mare. E si ritorna sempre all’alluvione del 1966: per uscire dall’incubo a Venezia hanno iniziato a pensare alle barriere del Mose e in Polesine sono stati rifatti gli argini e aperti i canali perché intasassero le lagune e ridurre il moto ondoso.
L’incubo alluvione. «Si parla tanto di parco del Delta e tutela Unesco ma va salvata la laguna. A Ca’ Zuliani c’erano le anguille, che si fermavano per la riproduzione, nuotavano in 5-6 metri d’acqua. In ottobre e novembre, richiamate dal magnetismo terreste, stavano lì e i pescatori le trovavano in un baleno, ora sono finite in mare aperto perché hanno rifatto il canale. Tutto cambia”, dice Boscolo.
La centrale Enel. «Sia chiaro, la centrale Enel non ha regalato rose e fiori, ma ha creato le premesse per lo sviluppo. Con la compensazione di 3 miliardi di lire versata a Porto Tolle negli anni Ottanta abbiamo costruito il porto di Pila e con un miliardo di lire è nata una nostra finanziaria per aiutare i pescatori che non avevano nulla. Per comprare un peschereccio oggi ci vuole un milione di euro e tenerlo fermo in cavana perché non supera l’onda di dosana è una beffa amara» racconta con desolazione Fabrizio Boscolo. «Quindi bisogna scavare il canale, la bocca sud della laguna Barbamarco, la nostra uscita a mare: ci sono 70 pescherecchi che ogni mattina controllano la marea prima di accendere i motori, a Goro e a Chioggia escono dal porto come delle frecce».
Il canale Barbamarco. «Bisogna pensare alla manutenzione periodica, aggiunge Graziano Azzalin, «qui bisogna fare i lavori prima dell’estate. Poi va affrontata la questione del rigassificatore, entrato nel pacchetto dell’autonomia. Il Veneto e il Polesine si sono sobbarcati un impianto di grandissimo impatto ambientale e va trovata una forma di compensazione», spiega Azzalin.
L’acqua si increspa e cambia colore. Si arriva a Isola Batteria, una zona paludosa risanata e trasformata in risaia nel primo Novecento, poi c’è stata l’estrazione del metano con Mattei ed è finita sotto: il mare se l’è presa ma ora è riemersa. E’ di Veneto Agricoltura, va recuperata per turismo di qualità, analisi della biodiversità, di un ecosistema intatto. Sono 400 ettari da salvare, dice Boscolo.
Il resort di lusso. E del progetto turistico dell’Enel? «Ci vuole cautela, salviamo il camino dell’Enel e poi facciamo un grande villaggio da pesca, una valle com’era prima della centrale, altro che campi da tennis. Barricata è a due passi da qui, basta e avanza».
Per capire il fragile equilibrio bisogna osservare l’ultimo argine che separa la laguna del mare, l’ha ricostruito Sergio Berlato quando era assessore all’Agricoltura, una ventina d’anni fa. Poi tutto si è bloccato. Va rifatto quel lembo di melma, uno scanno, come le “insule” del consorzio Venezia Nuova, senza aureole scientifiche ma con la sapienza dei pescatori che possono dare lezioni di idraulica ai professoroni.
Le cozze di Scardovari. Il miracolo delle cozze, vongole e ostriche lo racconta Simone Pizzardo, presidente della coop di Pila e Scardovari. Il bilancio 2018 è d’oro: il fatturato ha raggiunto i 67 milioni di euro, contro una media di 40. Il motivo? Le vongole sono salite di prezzo, si parte da 7,3 euro al kg al produttore e al consumatore arrivano a 15-18 euro. C’è stato un forte calo della produzione, legato a fattori ambientali, ai problemi del delta del Po. Le vongole finiscono in Sardegna, a Roma, in Spagna, le ostriche a Parigi e Londra. C’è una parte di biologico, ora si sta sperimentando la “lanterna” per la semina: si butta una piccola dose, si lascia a mare 15 giorni e poi si spostano con la lanterna per far crescere le ostriche. Stessa tecnica anche per le vongole ma servono i lavori di vivificazione della laguna. Sul tavolo di Luca Zaia è arrivata una lettera, una sorta di SoS, e venerdì è nato il primo gruppo di lavoro. Si parte, con l’ottismo.
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