Otello Baseggio: «La mia vitadi cambiamenti in mezzo ai libri»
Va in pensione dopo 33 anni il direttore della libreria Feltrinelli: il decennio dei movimenti e quello del riflusso, fino agli attuali "spazi da supermercato"

Per trentatré anni Otello Baseggio è stato alla guida della Libreria Feltrinelli di Padova. Ora la lascia nelle mani di Francesca Gasparri. Baseggio è stato un silenzioso e nascosto, ma consapevole e determinato, protagonista della vita culturale padovana.
Quando aprì la Libreria Feltrinelli a Padova?
Nel 1975. Venerdì 16 maggio.
Lei lavorava già nel settore librario.
Dal 2 novembre del ’71, alla Libreria Accademia, che oggi non c’è più. Era stato un caso: cercavo lavoro, avevo trovato quello. Verso la fine del ’74 volevo cambiare: stava per nascere mia figlia, avevo bisogno di guadagnare qualcosa di più. Avrei accettato, allora, qualunque buona proposta di lavoro. Arrivò la proposta di Feltrinelli. Mi cercarono loro. Ero stato segnalato. Ci furono alcuni incontri con Valerio Bertini, allora coordinatore delle Librerie Feltrinelli, e con il suo braccio destro Romano Montroni che poi gli succedette. Mi chiesero di elaborare una “relazione di fondazione”, cioè di definire il profilo che avrebbe dovuto avere la nuova libreria. Poi, nel febbraio del ’75, venne qui Inge Feltrinelli, a sancire la scelta. E il 6 marzo cominciai a preparare l’apertura.
Che libreria immaginava, in questa «relazione di fondazione»?
Non un «sacrario», come erano molte librerie dell’epoca, ma una libreria di facile accesso fisico ed economico, con molti libri a basso prezzo. Un assortimento che puntasse sulla saggistica, per soddisfare le esigenze di un pubblico, diciamo così, progressista. Senza però accodarsi a movimenti o a partiti: la libreria doveva essere autonoma e autorevole. Ricordiamoci cos’erano gli anni Settanta... 1974, referendum sul divorzio. 1981, referendum sulla 194. A Padova, il 17 giugno del ’74 le Brigate rosse ammazzano Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci. Si contano 700 episodi di violenza nel solo ’77. I professori universitari Guido Petter, Oddone Longo, Ezio Riondato, Angelo Ventura, sprangati o gambizzati tra il ’77 e il ’79.
In quegli anni di battaglie, come si costruiva l’autonomia della libreria?
Era un lavoro complicato. Ciascun movimento coltivava una propria aspettativa - magari anche quella dei libri gratis - e ci venivano a dire: «La Feltrinelli deve fare questo, la Feltrinelli deve fare quello». Abbiamo risposto costruendo una proposta plurale, dove ciascuno potesse trovare ciò che gli interessava.
Ma Padova non era solo la città dei movimenti...
Era una città in cui la Dc aveva la maggioranza assoluta, dove il mondo accademico esprimeva una netta chiusura. Per un certo tempo Massimo Crepet, allora preside di Medicina, fu l’unico accademico che si staccò dal coro dell’establishment, frequentando la nostra libreria. Ogni manifestazione della destra necessariamente ci passava davanti, e da subito avemmo le vetrine spaccate, lanci di uova, biglie, sampietrini...
E il mercato?
Anche il mercato era proprio difficile. Draghi presidiava la città con quattro librerie piazzate in punti strategici, io mi ero formato in una libreria universitaria e avevo un’esperienza molto specifica. Con me c’erano Carlo Capuzzo, che si era formato nella libreria centrale di Draghi, e portava la sua competenza nella «varia» (narrativa, saggistica, manualistica), e poi Lucia Facchini, cassiera e tuttofare, una persona di uno strepitoso dinamismo. Poi arrivarono Francesco Marcato e Giovanna Bettin, che univano all’esperienza e alla competenza la capacità di cambiare. L’innovazione è sempre stata la nostra risorsa.
Finiti gli anni Settanta, cambiò tutto.
Ci fu quello che si chiamò allora il «riflusso», il «ritorno al privato». Alcuni editori, anche importanti per noi e per il nostro pubblico, si estinsero. Noi reagimmo, e a metà anni Ottanta eravamo, benché ancora piccoli - 150 metri in tutto - la libreria di riferimento per alcuni editori di cultura: Einaudi, ad esempio, Boringhieri, La Nuova Italia. Perché sapevamo riconoscere e accompagnare le trasformazioni in atto. In pratica, fummo una delle prime librerie a organizzare l’esposizione per settori e non più per editori. All’epoca gli editori erano delle «bandiere», ma noi - ragionando per settori e sottosettori, che dovevano corrispondere agli interessi dei clienti - mescolavamo magari, nello scaffale di pedagogia, La Nuova Italia, editore storico della sinistra, con Armando, editore considerato di destra, o con l’outsider Emme di Rosellina Archinto.
Una trasformazione analoga avveniva anche nel lavoro editoriale.
Sì. In quegli anni gli editori hanno progressivamente abbandonato il ruolo di bandiere ideologiche, e si sono dedicati a intercettare gli interessi dei lettori. E noi dovevamo accompagnare questa trasformazione. Ricordo che parlammo a lungo, di questo, con Roberto Cerati, storico direttore commerciale di Einaudi - ora ne è il presidente -, trovando molti punti di accordo. I lettori hanno, al di là delle mode, degli interessi primari, che corrispondono appunto ai settori della libreria.
Sembra un lavoro quasi scientifico, questo di intercettare gli interessi dei lettori.
Il lavoro del libraio è un lavoro scientifico. La figura del libraio all’antica, quello che ti parla, ti consiglia, ti intrattiene, non risponde alle esigenze della circolazione del sapere moderno. Il libraio, oggi, dovrebbe avere presenti nella memoria ogni anno quarantamila nuovi titoli: la metà dei quali vende, nell’anno, zero copie. Non è fisicamente possibile. Noi, ogni libro che riceviamo, lo classifichiamo nel suo settore e sottosettore, e questa classificazione la scriviamo in un «sistema”: che non è solo di questa libreria, ma di tutte. Bisogna capire che questa attività di classificazione crea conoscenza, perché ci permette, in ogni libreria, di rimettere il libro esattamente lì dove il cliente si aspetta di trovarlo.
Negli anni Ottanta si diceva: le Librerie Feltrinelli sono diventate librerie-supermercato, non sono più “alternative”.
La libreria «alternativa» si propone a un’élite: alternativa, ma sempre élite. Ma questo Paese può migliorare solo se si allarga il numero dei lettori. Io difendo l’utilità di percorsi, e spazi, da supermercato. Vogliamo riuscire a vendere i libri come si vendono i beni di consumo primario.
Nel giugno 1990 col trasferimento nella sede attuale, la libreria diventa una delle più grandi d’Italia.
Seicento metri quadrati. Tanti quanti la Feltrinelli di Largo Argentina a Roma. Solo che il mercato di riferimento di Largo Argentina era mezzo milione di persone, e nel 1990 Padova aveva più o meno duecentoventimila abitanti... Comunque gli anni Novanta furono terribili. Non restano quasi nella memoria, perché sono stati anni in cui eravamo circondati da una sensazione di «assetto definitivo». Questo, dico, anche nella nostra struttura. Un po’ di anni, si può dirlo, li perdemmo.
Furono anche anni di espansione. A metà anni Novanta le Librerie Feltrinelli acquistarono i negozi Ricordi.
Una catena gloriosa ma in fase di decadimento. E ci volle tempo per conoscerla, per capirla, per riassettarla. Soprattutto per capire se anche in Italia, come già si faceva in altri Paesi, si poteva vendere in uno stesso locale libri, dischi e cinema in dvd. Una cosa che adesso è ovvia, ma allora sembrava che il libro non fosse accostabile ad altre merceologie. Che il nostro cliente non fosse anche uno che va al cinema, acquista dischi e dvd, va ai concerti.
Ma lei, in questi trentatré anni passati alla direzione della Feltrinelli di Padova, si è divertito?
Sono stati anni di grande passione, di tensione a realizzare cose, nella continuità e nel cambiamento. Io non concepisco la gestione della libreria se non in questo modo: come un continuo cambiare, adeguarsi, prevedere.
A questa professione, diceva all’inizio, lei è arrivato per caso. Ma a un certo punto c’è stata una scelta?
Sul finire del ’75, quando finalmente vidi la libreria realizzata, decisi che quella sarebbe stata definitivamente la mia professione. Abbandonai anche l’Università, benché mi mancassero solo quattro esami per finire Scienze politiche. L’Università avrebbe rubato tempo alla professione.
Si rende conto di essere stato, come direttore della Feltrinelli di Padova, corresponsabile della formazione culturale di un paio di generazioni?
Ho vissuto questo mai come un peso, mai con sofferenza, mai con ansia. La cosa fondamentale - quella che mi mancherà di più, ora - è stata il lavorare con un gruppo. Con certi clienti, poi, c’è stata anche vera e propria complicità. Il lavoro del gruppo consiste nell’ascoltare attentamente e rielaborare il rumor di fondo dei clienti, per realizzare l’assortimento. I clienti, negli anni, hanno riconosciuto l’importanza del nostro lavoro di ricerca, e noi riconosciamo l’importanza del feedback che viene dal ciente.
Il che non significa correre dietro alle mode...
Qui, nella Feltrinelli di Padova, i libri di filosofia, rispetto ai libri gialli, fanno l’80% in fatturato, e il 70% in numero di libri venduti. Lo dico per dire quanto male si può fare, nel mercato, se si ignorano le esigenze dei clienti.
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