Padova, arrestato imam bengalese picchiava e maltrattava i bambini

Le immagini riprese dalle telecamere sono le stesse che si vedono in alcuni sventurati asili, da nord a sud dall’Italia. Stavolta è successo in una moschea e questo basta per scatenare gli appetiti di una parte consistente dello scacchiere politico. La notizia, al netto dell’odio che scorre a fiumi in queste ore, è che l’imam del centro di preghiera di via Jacopo Da Montagnana è stato arrestato. È il secondo caso in Veneto nel giro di due mesi e, per la Digos di Padova, lui e il collega arrestato a Pieve di Soligo (Treviso) in luglio erano in contatto, o comunque in rete. Hossain Shahadat, 23 anni, due figli e uno in arrivo, un permesso di soggiorno per lavoro che gli scade il 16 ottobre, umiliava fisicamente e mentalmente i bambini che sbagliavano a recitare i versetti del Corano. È accusato di maltrattamento di minori. Ora si trova in carcere.
l’indagine
La genesi dell’inchiesta è l’incrocio di informazioni raccolte in due mondi in cui la polizia è presente: quello della scuola e la comunità islamica cittadina. Prima della fine dell’anno scolastico uno di questi bambini bengalesi ha confidato a una maestra di scuola elementare la paura che provava durante le quattro ore quotidiane nella moschea, più o meno dalle 16.30 alle 20.30. Quasi contemporaneamente alcuni musulmani, confidenti della Digos, riferiscono di aver assistito ad alcune “scene forti” nella scuola di preghiera che ormai da due mesi gestiva il giovane imam Hossain Shahadat, giunto a Padova dopo un periodo trascorso a Treviso, dove pure la sua gestione educativa aveva scatenato dubbi e proteste. Gli uomini del vicequestore aggiunto Giovanni De Stavola si mettono subito all’opera e, nel giro di qualche giorno, scoprono che è tutto vero. Verso fine agosto la Procura di Padova apre un’indagine.
i filmati
Le immagini sono un pugno sullo stomaco, fanno male, come tutte quelle che riguardano i maltrattamenti di bambini. Gli allievi della scuola di preghiera della moschea di via Jacopo Da Montagnana, gestita dall’associazione Bangladesh Cultural Center, avevano tra i 5 e i 10 anni ed erano una ventina in tutto. Chi non recitava esattamente la sūra veniva percosso, a mani nude o con un grosso pennarello. I video riprendono bambini strattonati, spinti a terra, puniti, mortificati. «I maltrattamenti si prolungavano per ore, mettevano a dura prova la tenuta psicologica dei bimbi» spiega De Stavola, una carriera intera nella Digos tra Venezia, Brescia e Bari, con una specializzazione proprio nel campo del terrorismo e del radicalismo islamico. C’è un’intercettazione ambientale che ha colpito gli investigatori più delle altre. C’è un bambino che subisce forti tirate d’orecchi, in senso fisico, e poi si prende un pugno in testa e infine uno spintone. Si rifugia in un angolo e viene raggiunto da un altro bambino che, cercando di confortarlo, gli chiede: «Perché non denunci in Questura?». Nella moschea di via Jacopo Da Montagnana, durante le attività dopo scuola, si respirava un clima di terrore.
la comunità
La denuncia o meno delle gravi violenze, come pure la condanna o meno degli atteggiamenti violenti di questo imam da parte dei membri della comunità stessa, costituiscono un terreno molto scivoloso perché pieno di luoghi comuni. Quanto sia stato oltrepassato il confine tra la rigida disciplina dei dettami del Corano e il diritto a un’infanzia serena, questo l’ha deciso l’autorità giudiziaria con l’arresto e la perquisizione in moschea di ieri mattina. Poi ci sono tutti i punti interrogativi che possono sorgere trovandosi di fronte una comunità che sa ma non parla, che conosce ma non denuncia, che vede ma tollera. Non è stato facile per gli uomini della Digos di Padova penentrare nel contesto del centro di preghiera di via Jacopo Da Montagnana, già bersaglio di un attentato nel 2015 da parte di un gruppo di neonazisti di Forza Nuova. È vero che qualcuno, alla fine, ha denunciato, come ha voluto ribadire anche il sindaco Sergio Giordani per soffocare sul nascere rigurgiti di intolleranza. Ma è vero anche che molti hanno taciuto e questo costituisce il filone successivo di un’indagine che non è chiusa e che mira ora a mettere nero su bianco le testimonianze dei frequentatori della moschea, a partire dai genitori. Molti non sapevano, molti altri ancora non ci credono nonostante l’evidenza dell’arresto. C’è purtroppo chi sapeva e, sommessamente, accettava. —
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