Politiche protezionistiche grave errore del governo
Dopo l’infinita campagna elettorale, c’era da attendersi che l’esercizio del governo portasse a qualche decisione pragmatica e responsabile. Invece, l’impronta demagogica dell’esecutivo gialloverde assume toni sempre più netti, come ha mostrato la dichiarazione del Ministro allo sviluppo sulle delocalizzazioni. Secondo Di Maio un’impresa che trasferisce all’estero la produzione dovrà restituire da 2 a 4 volte i sussidi ricevuti.
RIDURRE I COSTI
Un provvedimento che a prima vista appare ragionevole, ma che ha in realtà pesanti controindicazioni che chi è al governo non può ignorare. La prima riguarda la definizione di delocalizzazione, termine che indica il trasferimento all’estero di parti del processo produttivo di un’impresa. L’obiettivo di tale strategia è ridurre i costi, ma anche accedere a risorse specifiche (materie prime, forniture, competenze), oppure servire direttamente mercati esteri attraverso produzioni e alleanze in loco. Quest’ultimo aspetto sta del resto diventando sempre più rilevante proprio in conseguenza delle politiche protezionistiche che lo stesso Di Maio ha evocato. Se esportare diventa più costoso a causa dei dazi – come oggi avviene in mercati chiave come Usa, Russia, Cina e America Latina – le imprese che non vogliono perdere quote di domanda devono allora sviluppare le parti finali delle catene del valore nei paesi di destinazione. Penalizzare questa strategia significa colpire la componente più dinamica e produttiva dell’industria.
operazione complessa
Del resto, distinguere le delocalizzazioni buone da quelle cattive è operazione complessa, per non dire assurda. Considerate inoltre le grottesche complicazioni della burocrazia italiana, si apriranno enormi e costosi contenziosi anche nel definire quali sussidi debbano essere restituiti. Preso alla lettera, il provvedimento paventato da Di Maio creerebbe perciò inaccettabili condizioni di incertezza per gli investimenti delle imprese multinazionali, con effetti che possono risultare devastanti per l’economia italiana. Questo riguarda sia le 6mila imprese italiane che hanno stabilimenti oltre frontiera – fra cui Benetton, Carraro, De Longhi, Geox, Luxottica – sia i 14mila stabilimenti a controllo estero presenti sul territorio italiano. Vale ricordare che le multinazionali estere occupano in Italia 1, 3 milioni di addetti, pari al 7, 6% del totale nazionale e contribuiscono al 14% del Pil, al 15% degli investimenti, al 25% della spesa in ricerca e sviluppo e quasi un terzo dell’interscambio commerciale. L’impatto economico di queste imprese è in realtà ancora maggiore se si considera l’indotto dei fornitori e l’impiego, ben superiore alla media, di laureati e lavoratori qualificati. Certo, alcune multinazionali hanno avuto comportamenti predatori, ma per colpire questi casi non ha senso imporre a tutte le imprese vincoli assurdi. In questo modo si può forse ottenere un facile e immediato consenso, che farà tuttavia pagare un costo enorme allo sviluppo futuro del Paese.
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