Porto d’armi a Jesolo per aggirare i controlli
MONTEBELLUNA. Matteo Rossi, 37 anni, il rappresentante di materassi che martedì ha sparato Denise Morello, 23 anni, suicidandosi dopo l’assassinio, forse ha pianificato tutto già a metà febbraio quando ha visto che nemmeno la pagina a pagamento comprata su un giornale per tentare di far breccia nel cuore dell’ex fidanzata aveva funzionato. Un piano agghiacciante, realizzato sfruttando le pieghe della legge e qualche amicizia. Poteva essere fermato? Se lo domandano gli utenti della rete, i cittadini comuni, i familiari e gli amici di Denise e di Matteo. È la domanda chiave, diretta conseguenza di quella, ancor più netta: chi ha dato una pistola a Matteo Rossi?
Denise chiese aiuto. Era il 31 gennaio scorso: Denise Morello varcò la soglia della caserma carabinieri di Montebelluna con i genitori per raccontare l’oppressione, la paura e l’«incubo Matteo». Tanti sms, appostamenti nei locali che frequentava, telefonate insistenti. «I tipici atteggiamenti di chi non vuole rassegnarsi alla fine di una relazione» dicono i carabinieri. Nessuna minaccia però: per questo Denise si limitò a una segnalazione, senza fare denuncia. I carabinieri convocano l’uomo e lo redarguiscono. «Rossi conferma» spiegano i carabinieri, «e promette di mettersi in riga». Lo lasciano andare. Il caso è annotato, ma senza altri procedimenti non viene inserito nelle note penali relative al commerciante di materassi.
«Voglio una pistola». Passano pochi giorni e Rossi si presenta al Commissariato di polizia di Jesolo accompagnato da un conoscente che pare lo introduca. Chiede il rilascio di una licenza per «detenzione di arma da tiro a uso sportivo», presenta documenti e pratiche. Perchè Jesolo e non Treviso? «Perché lavoro spesso in zona e mi sono trovato a passare di qua» dice agli agenti del commissariato. È vero? O tenta di aggirare i possibili controlli ben sapendo dei guai occorsi con Denise? Quanto accaduto a Montebelluna non è verbalizzato come una denuncia – e lo sa – ma basterebbe una telefonata o una verifica accurata per svelarlo, mettendo in evidenza problematiche che «a discrezione» dell’autorità potrebbero impedirgli il rilascio dell’arma. Non succede. Pare intercorra una telefonata a Treviso e una a Pederobba dove Matteo Rossi è residente. E lì nessuno sa quanto accaduto a Montebelluna perché la procedura non prevede che la segnalazione di Denise venga inserita in circuito.
Arma in pugno. Il permesso della questura di Venezia arriva il 22 marzo, una settimana dopo Matteo maneggia una pistola potente e costosa come la sua auto, quell’Audi A5 notata più di una volta – si scopre – nei sotterranei del parcheggio dove martedì si è consumata la tragedia. «L’auto era parcheggiata in modo sospetto» riferisce un investigatore della zona. Matteo spara al poligono di Treviso, e tiene l’arma a portata di mano in casa e in auto.
Denise ha una nuova vita. Sono passati due mesi da quando è stato convocato in caserma. Secondo i carabinieri «due mesi quieti per Denise» che non ha più avuto pressioni dall’ex fidanzato e a detta delle colleghe e amiche «ha ripreso la sua vita normale». Alcuni messaggi da parte di Matteo tornano a far vibrare il cellulare ma lei tira dritto; forse lo ignora, forse lo respinge ancora. Non sa che è armato, non lo immagina. Lui invece ha idee chiare.
«Io ti ho dato tutto». Martedì, prima del bar, prima di premere il grilletto, prima di uccidere e uccidersi, Matteo scrive. Dopo il dramma, i carabinieri entrano nella sua abitazione in via Oberkochen a Montebelluna e trovano una lettera «vergata di fresco». Matteo chiede scusa, si rivolge alla famiglia e anche a Denise a cui dice «di aver dato tutto», alla ragazza senza la quale «la vita non aveva senso».
La scrive, esce, va al bar, saluta gli amici e ingrana la marcia. Quando parcheggia per aspettare Denise ha la pistola in pugno e la certezza che nessuno sospetti di lui. Il resto è cronaca di una follia che forse si poteva fermare con una denuncia che non è stata fatta, o con una rete di controlli non più rigorosa né più attenta, solo diversa.
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