"Quando era terrore rosso"Calogero e l'Autonomia operaia

Nel volume "Terrore rosso. Dall’Autonomia al partito armato" , la ricostruzione della cronaca  degli eventi che vanno dal 1971 al 1982. Gli autori sono Pietro Calogero, il pubblico ministero che ha avviato l’inchiesta «7 aprile», Carlo Fumian, docente di Storia Contemporanea e il giornalista Michele Sartori, che ha seguito come inviato dell’Unità la cronaca di quegli anni in Veneto. Pubblichiamo qui di seguito, su gentile concessione della casa editrice Laterza, alcune delle risposte di Calogero alle domande rivoltegli da Silvia Giralucci
Pietro Calogero, oggi procuratore generale a Venezia
Pietro Calogero, oggi procuratore generale a Venezia
Il 7 aprile non fu per nulla un blitz. Fu invece preceduto da un lungo e mirato lavoro investigativo che si protrasse dagli inizi del 1977 all'aprile 1978. E continuò con ritmo sempre più serrato nel periodo immediatamente successivo all'assassinio dell'onorevole Moro (9 maggio 1978).


L'esito infruttuoso della prima inchiesta e l'attentato alla mia abitazione da parte di un'organizzazione palesemente armata mi spinsero a riprendere le indagini per trovare prove più solide. Chiesi ed ottenni di far copia di tutti gli atti dell'istruttoria da poco conclusa e allargai lo studio dei documenti ben oltre l'orizzonte della locale rivista «Autonomia». (...).


Diedi avvio così allo studio di centinaia di giornali e riviste, fra cui privilegiai «Potere Operaio» e «Controinformazione», convinto di trovare in essi la maggior parte delle risposte agli interrogativi che mi poneva la ricerca investigativa.


RIVOLUZIONE INVESTIGATIVA.
La convinzione nasceva da una logica intuizione: in un movimento ad alto tasso di contenuto ideologico, che propagandava sistematicamente la lotta armata contro lo Stato (...), non potevano mancare le analisi e le speculazioni teoriche sul «dominio capitalistico» e sullo «Stato delle multinazionali», la discussione sulle proposte organizzative e sui rapporti con altri gruppi omogenei, l'individuazione delle forme di lotta necessarie per abbattere il sistema, l'analisi e la rivendicazione politica di singoli episodi di violenza, le enunciazioni di programma per il medio e lungo periodo. E intuii anche, simmetricamente, che alla produzione di queste fonti di conoscenza non potevano che essere dediti, almeno in prevalenza, i «maestri», i capi, i dirigenti e gli esponenti più autorevoli delle diverse «anime» del movimento. (...). Era una rivoluzione «copernicana» del metodo investigativo: finalizzato, tradizionalmente, a scoprire i livelli superiori della piramide associativa partendo dal basso, cioè dai fatti specifici di violenza armata, ma quasi sempre destinato a infrangersi nelle spesse maglie della compartimentazione; e d'ora in avanti, invece, indirizzato prioritariamente alla scoperta dei livelli sovraordinati e di vertice dell'organizzazione che, come immagini riflesse in uno specchio, affioravano nel documento con connotati sempre più chiari e leggibili.


Spiegai ai collaboratori della Digos (...) l'importanza che poteva avere, specialmente nelle perquisizioni domiciliare, il rintracciare, anziché un'arma, materiale documentale. Le armi - precisai - potevano essere rivelatrici, al più, di un ruolo gregario o subalterno del detentore; mentre il documento poteva essere rappresentativo di un suo rango direttivo.


L'ARCHIVIO NEGRI.
Ero certo che Negri dovesse avere, per la sua statura intellettuale e il carisma che lo circondava nel movimento, oltre che per la malcelata ambizione di scrivere la storia del domani, un «archivio» di carte rispecchianti le tappe del processo insurrezionale. Mi chiesi dove, al posto suo, avrei potuto nascondere i documenti senza correre il rischio che fossero scoperti. La facoltà di Scienze Politiche, dopo le perquisizioni domiciliari dei docenti del 21 marzo 1977, non era più un posto sicuro. Richiesi al dirigente della Digos dottor Colucci di prepararmi un elenco di esponenti di spicco di Potere Operaio che, dopo l'avvento di Autonomia, non apparivano più politicamente attivi. Tra loro, in tutto una decina, spuntò il nome di Manfredo Massironi, un architetto già amico e seguace di Negri che aveva lo studio proprio di fronte al portone d'ingresso di Scienze Politiche e sulla cui targa esterna figurava il nome della madre. Pensai che per Negri non poteva esserci posto più sicuro per nascondere documenti compromettenti: ogni metro in più di distanza dal suo studio avrebbe costituito per lui - come confidai al dottor Colucci nel consegnargli il decreto di perquisizione - un fattore di rischio crescente e intollerabile.


Dopo circa un anno di assoluto «silenzio» investigativo e di ricerche «mirate», la perquisizione dello studio dell'architetto Massironi, effettuata il 19 marzo 1979, premiò la nostra previsione e ci fece ritrovare quello che icasticamente fu battezzato con il nome di «archivio Negri»: oltre una decina di grossi faldoni ordinati cronologicamente, contenenti migliaia di documenti politici di primaria importanza per le indagini in corso.

Il «7 aprile» nacque in quel momento, per effetto del ritrovamento di quei documenti.

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