Quarant’anni d’impegno per i diritti umani nel nome di Papisca all’Ateneo di Padova

L’anniversario
La pace con il ripudio di ogni guerra e i diritti umani sacri e inviolabili, calpestati dai governi autoritari: c’è un filo che lega da 40 anni l’Università di Padova con l’Onu, diventata un laboratorio del corpo diplomatico, oggi impegnato nelle missioni in Israele e Palestina, in Africa e America Latina. Ad aprire la strada fu Antonio Papisca nel 1982. Scienze politiche s’era appena lasciata alle spalle la stagione di Toni Negri e Autonomia operaia e si preparava ad affrontare una nuova sfida sulla base di un principio evangelico di uguaglianza: “Humana dignitas servanda est” al posto della formula del guerriero: “Pacta sunt servanda”.
E Papisca, allora preside di quella facoltà fucina di rivolte, decise di aprire il centro sui diritti della persona e dei popoli al Bo, una storia di successo che poi ha coinvolto anche Venezia con il Global campus nel monastero di san Nicolò al Lido, per il master europeo. Un centro di eccellenza nel mondo per il suo metodo olistico verso la formazione, la giustizia e lo sviluppo sostenibile.
«Papisca aveva due grandi doti: la pazienza e la visione strategica del futuro. Era un cattolico osservante, nel 1982 è riuscito a riportare la pace a Padova dilaniata allora dagli anni di piombo», ricorda Francesco Jori prima di lanciare un’autocritica ai colleghi giornalisti per l’acritico spazio riservato alle tesi dei No vax.
L’erede scientifico e culturale di Papisca è il professor Marco Mascia, che in un maxi convegno ha ripercorso le sfide vinte dal 1980.
Alle 9,30 ha acceso la lampada della pace portata da Assisi da Flavio Lotti, animatore della marcia, voluta da Aldo Capitini 60 anni fa. Un meeting che agli esordi ha visto sfilare in testa al corteo anche Norberto Bobbio e Italo Calvino, eredi degli appelli di Bertrand Russell per lo smantellamento degli arsenali militari di Usa e Urss.
Una marcia che lo scorso 10 ottobre si è rinnovata con migliaia di persone con la mascherina, da Perugia alla Basilica Francescana e alla rocca d’Assisi, con il cuore aperto all’emergenza umanitaria in Afghanistan.
«L’Università di Padova ha organizzato 4 pullman con 100 studenti, un’adesione istituzionale che segna una svolta» ricorda il professor Mascia.
Il vero erede culturale di Capitini è stato Papisca, prima di cedere la cabina di regia a Flavio Lotti, obiettore di coscienza, trevigiano di origine, che nel convegno al Bo ha ricordato come l’albero della pace abbia messo solide radici in Italia.
Un ruolo fondamentale l’ha giocato la Regione Veneto, che ha coinvolto i Comuni che nei loro statuti riconoscono la pace come valore fondamentale della convivenza. Senza distinzione di bandiere ideologiche.
«Papisca ha lasciato una grande eredità: si è sempre battuto per l’Onu dei popoli che non è mai decollato. L’altra sua grande idea era l’albero della cittadinanza, che dev’essere universale e non legata allo ius soli e allo ius sanguinis. Va assolutamente introdotta la tipologia giuridica della cittadinanza universale per garantire lo stesso status a tutti i soggetti della famiglia umana. Temi di drammatica attualità che invitano a riflettere sul mancato rispetto della dignità nel campo profughi di Lesbo, vergogna dell’Europa. Siamo stati i primi in Italia ad aprire un corso di laurea sui diritti umani, ora ce ne sono 204 sparsi nei vari atenei».
Che si trattasse di una sfida tutt’altro che semplice l’ha ribadito Vincenzo Milanesi, rettore dal 2002 al 2009. «Papisca ci convinse ad assegnare la laurea honoris causa ad Hans Blix, il capo degli ispettori Onu in Iraq. Fu lui a smascherare la fake news di Bush sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Solo con la verità si può costruire la convivenza tra i popoli».
Le nuove sfide oggi nascono dalla globalizzazione: Kofi Hannan ha firmato direttive alle multinazionali per il rispetto dei diritti nel lavoro, che non sono mai state applicate, con effetti negativi sul settore minerario, ha spiegato John Pace, coordinatore della Conferenza di Vienna. L’ultima ingiustizia riguarda la discriminazione tra le popolazione vaccinate dell’Ue e degli Usa, rispetto a quelle africane che non hanno accesso alle cure contro il Covid. —
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