Sacra Rota, processi brevi e ultima parola ai vescovi

PADOVA. Giustizia lenta, giustizia ingiusta. Anche nel processo canonico dove, oltre ai sentimenti, è in gioco la fede e la possibilità di vivere la vita pastorale e i sacramenti. Da ieri è cambiato tutto con l’entrata in vigore, nel giorno dell’Immacolata Concezione, della riforma del processo canonico per ottenere la dichiarazione di nullità del matrimonio passpartout indispensabile, per un cattolico praticante spesso con una nuova famiglia, per sposarsi di nuovo. Davanti al prete. E davanti a Dio. Un problema sentito e vissuto anche nel Triveneto dove, sia pure in calo rispetto a dieci anni fa (dopo un picco tra il 2000 e il 2010), il Tribunale Ecclesiastico con sede a Zelarino di Venezia nel 2014 ha definito 163 cause (330 del 2005), esaminato 509 pratiche (811 nel 2005) e avviato 165 nuovi fascicoli (242 nel 2005). Il che significa che c’è stato un decremento dei processi canonici tra Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige. Di certo i cattolici praticanti sono in calo. Ma è pure colpa dei tempi lunghi del processo canonico. E della complessità del procedimento che implica costi maggiori.
Ecco perché Papa Francesco ha puntato a semplificare il processo canonico, senza intaccare la dottrina e cioè l’indissolubilità del matrimonio che, secondo la Chiesa, resta un sacramento intangibile. «Anche tra coloro che appartengono alla Chiesa si pone il problema dei matrimoni che non hanno avuto esito felice e che si sono conclusi con l’irreparabile rottura dell’unione» spiega l’avvocato Michela Bellon, trevigiana con studio a Castelfranco Veneto, con la collega (e sorella) Monica Bellon, due dei 270 avvocati rotali nel mondo, abilitati a esercitare di fronte alla Sacra Rota, titolo che si consegue con la laurea in diritto canonico e una specializzazione. «Negli ordinamenti giuridici degli Stati il problema trova soluzione con il divorzio che fa venire meno il vincolo coniugale costituito in maniera valida» precisa, «La Chiesa, fedele all’insegnamento di Cristo sull’indissolubilità del sacramento matrimoniale, non può offrire questa soluzione ma non è insensibile alle implicazioni umane e pastorali che derivano dal fallimento di tanti matrimoni». Il processo canonico, infatti, può portare allo scioglimento (tecnicamente la dichiarazione di nullità) di quel vincolo matrimoniale come non fosse mai esistito. Tuttavia solo in presenza di motivi che attengono alla capacità della persona che si impegna nel vincolo coniugale (una malattia mentale); di un vizio del consenso (ad esempio il non volere figli) e della mancanza di formalità nelle nozze (pochi i casi).
Il via alla riforma è stato preannunciato da due documenti promulgati dal Pontefice (Motu Proprio): alle spalle tante sollecitazioni dai vescovi e da una commissione di studio. Tra le novità? La centralità del ruolo del vescovo in ogni diocesi: per Padova don Claudio Cipolla, per Venezia il patriarca Francesco Moraglia, per la diocesi di Treviso Gianfranco Agostino Gardin, per Belluno monsignor Giuseppe Andrich. «I principi ispiratori della riforma hanno puntato a snellire e semplificare il processo di nullità del matrimonio, avvicinare gli organi giudiziari della Chiesa e i fedeli, coinvolgere il vescovo nella gestione della giustizia ecclesiastica» conferma l’avvocato Bellon, «Ora, accanto al processo ordinario che mantiene la sua struttura, è stato introdotto il processo più breve utilizzabile quando la richiesta di nullità è ritenuta fondata in modo chiaro fin da subito». Un processo quello breve dove il vescovo – figura più vicina ai fedeli e pronto a vigilare per evitare abusi – è “giudice” sia pure coadiuvato da esperti, chiamato a emettere la sentenza. Inoltre in base alle nuove regole non c’è più la necessità di due sentenze conformi (in primo e secondo grado) per il riconoscimento della nullità del matrimonio.
Non basta. Contro una durata media precedente di un anno e mezzo (4 o 5 anni nei casi più complessi), da oggi il processo canonico potrebbe ridursi a pochi mesi, un anno. Con tempi “tagliati” perché, come ha scritto monsignor Adolfo Zambon vicario giudiziale del Tribunale Ecclesiastico Triveneto, «una giustizia rimandata è una giustizia rifiutata».
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