una capitale economica e i rischi per il veneto

Recentemente Maria Cristina Piovesana. Presidente di Assindustria Venetocentro, ha scritto una lettera aperta nella quale si sostiene l’esigenza per il Veneto di avere una capitale economica che rappresenti un vertice di un triangolo i cui altri due vertici sono rappresentati da Milano e da Bologna.
Sulla stampa veneta la proposta di Piovesana ha trovato sostenitori, come è giusto che sia quando arrivano proposte, anche di carattere generale, volte a ridare slancio ad una economia che risente di avversità congiunturali. Potrei considerarmi anch’io un sostenitore della proposta Piovesana dopo che di essa se ne sia definita l’articolazione istituzionale ed operativa. In effetti, non mancano i nodi da sciogliere che possono diventare significativi soprattutto se il progetto deve strutturarsi istituzionalmente. Le informazioni che ho sono, ovviamente, quelle tratte dalla stampa veneta nella quale sono state abbozzate alcune idee, per cui ritengo serio evitare, da un lato voli pindarici, e dall’altro stroncature inopportune. Quindi occorre limitarsi a porre degli interrogativi relativamente alle configurazioni pratiche dell’idea, sperando che nel corso del tempo giungano risposte concrete e credibili. Negli interventi che ho letto viene enfatizzato il concetto di “metropolitano”, concetto che può essere declinato in modi diversi come, ad esempio, “città metropolitana”, “area metropolitana”, “regione metropolitana”.
A ben guardare si tratta di concetti molto diversi tra loro, che presuppongono politiche diverse e articolazioni istituzionali diverse. Sottostante al termine “metropolitana” mi sembra che ci sia l’idea che una densificazione delle attività economiche e dei sistemi infrastrutturali possa agire da magnete per l’insediamento di attività economiche che altrimenti ci ignorerebbero. Qualora la risposta fosse trovata proprio in una simile strategia ci si dovrà chiedere se tale densificazione dovrà prodursi: a) in una parte ristretta del territorio veneto; b) lungo tutta la dorsale Padova-Venezia-Treviso; c) in tutto il territorio veneto. La denominazione “metropolitana” mi sembra fuorviante, soprattutto dopo il varo delle cosiddette “Città metropolitane”, che, a mio avviso, tali non sono. Alcune di queste Città metropolitane non hanno un nucleo urbano che individui una vera realtà metropolitana. Comunque sia, credo che occorra guardarsi dal pensare che una realtà territoriale, comunque definita, possa attrarre risorse ed iniziative perché viene, nominalisticamente, chiamata “metropolitana”. Tra l’altro in Italia abbiamo esempi di aree metropolitane (indipendentemente da come siano state chiamate dal legislatore) che, per quanto “metropolitane” non riescono ad attrarre risorse ed iniziative.
Un esempio è quello che ci viene dal processo evolutivo del cosiddetto triangolo industriale italiano, costituito dalle grandi aree urbane di Milano, Torino e Genova. Torino e Genova sono due capitali regionali, cospicue per popolazione e per funzioni infrastrutturali, ma che non sono riuscite a frenare un declino che giunge da lontano e che, soprattutto nel caso di Genova, sta diventando devastante. Quindi non basta avere una vera e propria area metropolitana perché questa agisca da area di gravitazione economica. Un’altra area urbana che è effettivamente metropolitana è quella di Napoli, la quale, tuttavia, è ben lungi dall’essere un campo gravitazionale di attività economiche.
Non rimane che giungere a toccare un’altra questione, a cui se ne aggiunge una terza di cui dirò. Mi riferisco all’ idea, che prefigura una prima articolazione operativa del progetto, e cioè quella che tale progetto abbia una casa in una Fondazione che del progetto sia il cervello e il motore. In merito a tale Fondazione faccio riferimento alla autorevolezza dell’amico e collega Giancarlo Corò che ha scritto “l’idea di una Fondazione che riunisca i soggetti interessati a promuovere, finanziare e realizzare progetti per l’area metropolitana del Veneto centrale costituisce un passo importante nella direzione giusta”. Sinteticamente Corò pone sul tavolo progettuale una serie di problematiche di grande importanza. In primo luogo quello dei soggetti interessati che possono essere persone, imprese ed organizzazioni. In merito al ruolo della Fondazione credo che si imponga una scelta tra una Fondazione, intesa come ente morale, progettista di idee, e una Fondazione come ente operativo e di gestione, intesa come “impresa”. Nel secondo caso si porrebbe il problema di come la Fondazione potrebbe raccogliere le risorse necessarie per attuare i propri progetti, e da chi potrebbe raccogliere tali risorse. Sempre nel secondo caso la Fondazione raccoglierebbe risorse e costruirebbe progetti su scala sostanzialmente regionale. Ma qui si pone un interrogativo in merito al rapporto che può determinarsi tra la Fondazione e gli enti territoriali che per legge sono chiamati a gestire ed a pianificare il territorio. Non si tratta di un problema di poco conto perché potrebbe dar luogo a conflitti di competenza.
Nel quadro di una ipotesi di una federazione tra le diverse municipalità dell’area che si considera nel progetto saremmo davanti ad una coalizione di municipalità. Non sempre è facile raccogliere risorse tra le municipalità, che sarebbero quindi chiamate ad aumentare il prelievo fiscale sui propri cittadini e distribuirle senza creare “guadagni asimmetrici” premiando alcune realtà locali e penalizzando altre realtà locali pur appartenendo ad un’area che solo in parte può richiamare una realtà metropolitana. Non dimentichiamo che in varie realtà europee sono falliti i tentativi di dar vita a istituzioni di tipo metropolitano. Le difficoltà, che hanno portato alla fine di alcune città metropolitane sono derivate dalla percezione che alcune municipalità hanno avuto di partecipare ad una coalizione che generava guadagni asimmetrici. Questo accade quando le popolazioni della municipalità partners di un’area molto vasta non condividono uno spirito identitario. Occorre evitare che un simile progetto possa determinare una frattura fra il Veneto orientale e il Veneto occidentale. Occorre guardarsi dal rischio di pensare che l’asse Padova-Venezia-Treviso possa aspirare a divenire una sorta di “piccola Regione” che entrerebbe in competizione con la Regione Veneto, in materia di competenze. Anche questo è un aspetto problematico dell’intera questione. —
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