Vacanze a Cancun e hotel da 4.500 euro

L’uomo d’affari era noto nell’ambiente dell’industria tessile per aver gestito la Devergò, poi fallita

VENEZIA. Tra gli imprenditori tessili veneti, e non solo, Paolo Sartori era noto perché per anni aveva gestito la Devergò, un’importante azienda, tanto che quando è poi fallita (Sartori era stato anche condannato a cinque mesi per bancarotta) il marchio era stato acquisito da un’industria tessile francese. Nonostante questo, però, l’imprenditore noalese (ora, da qualche tempo, risiede a Stra) non se la passava male, anzi faceva da qualche anno la bella vita ancor più di prima, quando la Devergò andava a gonfie vele. Sartori, infatti, ha attirato l’attenzione dei finanzieri di Mirano anche perché cambiava automobile spesso, passando da una Ferrari F40 cabrio, a una Porsche Cayenne, da una Bmw X6 a una Mercedes targata San Marino.

Non solo. Quando si spostava, si permetteva i migliori alberghi a Venezia come in Tirolo, dove per una breve vacanza di tre notti aveva speso 4500 euro solo per la stanza. Non si faceva mancare il mare, ma invece di accontentarsi delle nostre spiagge sull’Adriatico, si spostava in Messico e la sua meta preferita era Cancun, nello Yucatan. Infine, per viaggi, vacanze e serate non mancava di farsi accompagnare da belle ragazze, spesso a pagamento, tanto che nella sua agenda c’erano una sfilza di numeri, da quello di miss Padania a quelli di numerose vincitrici di concorsi di bellezza locali.

Tra le accuse che gli sono state mosse c’è anche quella di millantato credito. Agli investigatori alcuni testimoni, infatti, hanno riferito che Sartori, evidentemente non contento di quel 5-8 per cento degli imponibili che lucrava sulle cifre delle fatture fasulle, proponeva agli imprenditori che le utilizzavano per pagare meno tasse di appianare i loro problemi, raccontando che poteva intervenire sulla Guardia di finanza, quella di Mestre e di Mirano. Ad esempio a raccontarlo è l’imprenditore Flavio Marini , il quale era preoccupato dopo che erano scattate i controlli sulla sua azienda perché usava le fatture della «Ciesse». «Io ero molto agitato», ha riferito, «ma lui mi tranquillizzava, sostenendo che era in grado di risolvere tutto purché io fossi in grado di fornirgli del denaro per pagare il suo avvocato e persone all’interno della Guardia di finanza... Decisi di corrispondergli un primo acconto di due o tre mila euro». Alla fine gli avrebbe consegnato in tutto cinquemila euro. Anche un altro imprenditore, Franco Gambato, racconta un episodio simile. Anche le intercettazioni telefoniche hanno fornito prove ed indizi. In un’occasione avrebbe telefonato ad Arianna Alessio, formalmente titolare della ditta «Csa» che di fatto era lui a gestire, chiedendole che cosa le fosse stato chiesto dai finanzieri e pregandola di tenerlo informato. «Condotta anomala per un imprenditore che dice di non aver nulla da temere» scrive il pubblico ministero. (g.c.)

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