Veneto Banca, c'è la Finint in testa agli affidatari

TREVISO. Verrebbe da fare il tifo per Vincenzo Consoli, adesso che l’accanimento terapeutico della Banca d’Italia lo sta facendo precipitare a tutta velocità dalle stelle alle stalle: azzerato di ruolo (ma resta sempre direttore generale), dimezzato di stipendio (ma rimane con 900.000 euro l’anno, buttali via), costretto alle dimissioni (ma le darà solo l’anno prossimo). Ora che Veneto banca è saldamente inquadrata nel mirino, è facile fare il tiro a segno. Ma se lo fa anche il Sole 24 Ore, che domenica scorsa ha recitato una specie di de profundis per Consoli, vuol dire che è suonata la campana: l’uomo che voleva costruire un impero bancario sulle due sponde dell’Adriatico – ha scritto il giornale di Confindustria – ha accumulato 800 milioni di buco grazie soprattutto ad una spericolata politica di acquisizioni.
Gli imprenditori gli danno il benservito. I veneti si guardano perplessi: Veneto Banca non era quella che accompagnava le imprese al successo, custodiva il risparmio delle famiglie, assisteva le giovani coppie, sosteneva gli investimenti, aiutava le aziende a resistere alla crisi correndo anche dei rischi per mantenere gli affidamenti? Era verità o solo propaganda?
La risposta a questa domanda, al netto della retorica, si può avere scorrendo le prime 50 posizioni negli affidamenti di Veneto Banca nel luglio-agosto 2013, quasi in contemporanea all’ispezione di Bankitalia. Alcune posizioni potrebbero essere cambiate, anche se l’entità degli importi induce a ritenere difficile che gli interessati progettassero rientri a breve. In ogni caso dà l’idea dell’indirizzo della Banca a proposito del territorio.
In testa al portafoglio clienti con 244 milioni c’è la Finanziaria Internazionale di Enrico Marchi e Andrea De Vido e questo dice subito dell’orientamento a privilegiare le operazioni di finanza sugli investimenti alle imprese. È vero che Enrico Marchi, dopo la scalata in Save, a suo tempo protetta da Giancarlo Galan, ha acquisito anche il controllo degli aeroporti di Verona e di Brescia, ma con raffinate operazioni sul pacchetto azionario, di nuovo facilitate dagli enti locali, che hanno ridotto al minimo la parte investimenti.
Questa linea a privilegiare le speculazioni finanziarie è confermata dai 241 milioni al Gruppo Ferak, dentro al quale c’è di nuovo la Finint di Marchi-De Vido oltre a Palladio Finanziaria di Roberto Meneguzzo (coinvolto nello scandalo Mose), la famiglia Zoppas, gli Amenduni e la stessa Veneto Banca, impegnata a sostenere il cosiddetto «salotto buono» della finanza veneta nell’operazione Generali. Con il bel risultato che si è visto.
Fin qui, mantenendo la riserva sul primato della finanza rispetto all’economia reale, avrebbe perfino un senso. Non si capisce invece per quale motivo vengano dati 166 milioni di euro ad Arca Cash Plus e 101 ad Arca MM, due fondi di investimento. La caratteristica di un fondo – in attesa di essere smentiti – è raccogliere denaro dei risparmiatori per investirlo. Perché dovrebbe andare a chiederlo ad una banca? Con quale garanzie, comprando le azioni? O depositando a sua volta denaro, così il flusso in entrata e in uscita della banca aumenta e il bilancio sembra più florido?
I finanziamenti alle imprese vengono dopo. Per un immobiliarista come Giuseppe Statuto (107 milioni), proprietario dell’hotel Danieli di Venezia e del Four Season di Milano, per tacere del resto, c’è subito il gruppo Ferrarini di Reggio Emilia che commercia salumi (98 milioni). Veneti sono invece la famiglia Zoppas (63 milioni), il gruppo Pro-Gest che gestisce la produzione nazionale di cartoni e carta da pacchi (90 milioni), il gruppo alberghiero dei Boscolo (47 milioni), l’ex direttore della clinica odontoiatrica di Padova Gian Antonio Favero, implantologo di chiara fama, titolare di un impero ma incappato nel 2012 in un processo che gli è costato la carriera (dirottava pazienti dalle strutture pubbliche alle sue cliniche, fulminato da «Striscia la Notizia»).
Il gruppo Danieli è friulano, leader mondiale nell’esportazione di prodotti siderurgici (54 milioni), le Acciaierie Valbruna sono di Vicenza (46 milioni) e fin qui si resta nell’economia reale. Ma con cifre sempre minori di quanto concesso a Palladio Finanziaria (97 milioni). Peraltro anche Est Capital, la società veneziana commissariata dal ministero dell’economia, di mestiere fa il gestore di risparmi ed è ben sostenuta (43 milioni).
Stefanel, che è stato sottoposto a perquisizione dalla Guardia di Finanza, ha un affidamento di 35 milioni. I gruppi Riello (39 milioni) e Marcegaglia (50 milioni) non hanno bisogno di presentazioni. Il gruppo Gavio è piemontese (37 milioni). Luca Cordero di Montezemolo (41) è dentro perché socio della Banca Intermobiliare acquistata da Consoli. Ci sono 92 milioni al gruppo Alitalia Service ed è da sperare che siano adeguatamente garantiti. Ma Consoli non era tipo da fare le pentole senza il coperchio: nel finanziamento di 7,6 milioni di euro dati nel 2012 a Denis Verdini per consentirgli di salvarsi nel crack del Credito Cooperativo Fiorentino, si era cautelato a dovere. Non dalla fuga di notizie, che lo fece imbestialire, ma con una fidejussione nientemeno che di Silvio Berlusconi. Verdini se la vedrà con la magistratura ma i 7,6 milioni di euro sono tornati nelle casse di Veneto Banca.
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova