Veneto, la sfida delle case di comunità

Ne sono previste 99, di cui 63 già parzialmente attive. Lanzarin: «Ma a preoccuparci è la carenza di medici»

Laura Berlinghieri
In Veneto le risorse stanziate per le case della comunità ammontano a complessivi 241 milioni di euro
In Veneto le risorse stanziate per le case della comunità ammontano a complessivi 241 milioni di euro

Scatole vuote. È forse il primo rischio a cui vanno incontro le case della comunità: le strutture socio-sanitarie, con finanziamenti da Pnrr, ideate per l’attuazione della sanità di prossimità, necessaria per sgravare gli ospedali dai codici bianchi e, al contempo, dare risposta a una popolazione che, sempre più anziana, avrà sempre più bisogno di salute.

Lanzarin: «manca personale»

Ma scatole vuote. Perché a lavorare in queste strutture saranno gli stessi medici di famiglia, che già mancano sul territorio. E poi i medici della continuità assistenziale (ex guardie mediche), che a loro volta latitano.

«La Regione Veneto, come altre, ha sempre detto che il problema non consiste tanto nella realizzazione delle strutture, ma riguarda soprattutto il reclutamento del personale» ammette l’assessora alla Sanità, Manuela Lanzarin, «E non riguarda nemmeno i soli medici di medicina generale, ma anche gli infermieri. Il Ministero lo sa, e a noi non resta che sperare in un intervento per provare a invertire il trend».

Al momento, però, l’unico intervento istituzionale risale al 9 settembre scorso e consiste nell’approvazione delle linee di indirizzo, da parte della Conferenza delle Regioni, per determinare lavoro e funzione dei medici di famiglia all’interno di queste nuove strutture.

I numeri

Ma facciamo un passo indietro. In Veneto, le risorse stanziate per le case della comunità ammontano a complessivi 241 milioni di euro, dei quali 135 milioni derivanti da fondi Pnrr e 80 milioni dal fondo sanitario regionale. Ne saranno realizzate 99, di cui quattro su input della regione: una ogni 40-50 mila abitanti.

Delle 95 previste da programma Pnrr, i lavori devono ancora iniziare per una sola struttura, si sono conclusi in 26, mentre sono 5 le case già collaudate. «Ma 63 sono già parzialmente attive – dice Lanzarin – con alcuni dei servizi previsti dal decreto ministeriale 97, e quindi punto prelievi, medicina specialistica, medicina di gruppo».

Le nuove linee guida

Stando alle nuove linee guida della Conferenza delle Regioni, tutti i nuovi medici che entreranno nel sistema sanitario nazionale a partire da quest’anno dovranno affiancare il lavoro ambulatoriale a quello nelle case di comunità. Strutture che – attive 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, festivi compresi – svolgeranno anche il servizio che in passato era proprio delle guardie mediche.

Ma, nel grande “calderone” delle case di comunità sono previste anche le strutture spoke, punti di assistenza primaria più piccoli e diffusi sul territorio, che offrono servizi di base, e attivi 6 giorni su 7 e per 12 ore.

Le attività previste sono tra le più varie: dalle visite ambulatoriali per bisogni non differibili, alla gestione della cronicità e della fragilità in équipe, e poi interventi di sanità pubblica e promozione della salute, un primo livello di controlli diagnostici, e assistenza a turisti, studenti fuori sede, non residenti.

Le strutture saranno dotate di Ecg, ecografi, strumenti per esami rapidi, accesso alle banche dati cliniche e dispositivi per teleconsulto e telemedicina.

Ci sarà poi la presa in carico dei pazienti cronici e fragili. Previsto l'impegno in attività di prevenzione ed educazione sanitaria, tramite campagne vaccinali, promozione di stili di vita sani e interventi su gruppi a rischio, anche attraverso la stratificazione della popolazione per bisogni e la medicina d'iniziativa.

Fimmg: «risposte da lanzarin»

E i diretti interessati – i medici di medicina generale – non restano a guardare. Tirati dalla giacchetta da un sistema che prima li voleva dipendenti pubblici, mentre adesso li dirotta in queste strutture, aperte giorno e notte.

Chiedono a Lanzarin una convocazione urgente. «Entro sette giorni, per definire con chiarezza il ruolo e le attività dei medici di famiglia nella riorganizzazione delle cure territoriali» dicono. E «sono disponibile» risponde l’assessora.

Chiedono lumi: a proposito delle strutture organizzative e degli aspetti gestionali delle aggregazioni funzionali territoriali. Dell’impegno e del tipo di attività che dovranno svolgere sia in queste strutture che all’interno delle case di comunità.

Tutti temi, a fronte dei quali, denuncia il sindacato, la risposta è stata «di silenzio e fughe in avanti della Regione, su aspetti organizzativi non concordati, come l’attivazione dell’assistenza diurna nelle case di comunità e l’avvio del 116 117».

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