[Verso dove] Le vacanze in montagna con l'incognita dei rifugi: "Pasti all'aperto e prenotazioni obbligatorie"
I problemi connessi alla pandemia del Coronavirus affrontati dai protagonisti della filiera. Così la montagna veneta scommette sulla ripartenza

PADOVA. Andare, perdersi, ritrovarsi. Il coronavirus mette in crisi anche lo spirito autentico della montagna. Non tanto il camminare e il perdersi nella natura, con i suoi silenzi e i suoi colori, quanto più il ritrovarsi. Ecco, questo sarà uno dei problemi dell'estate 2020. Godersi un pasto in rifugio dopo ore di cammino.
Le misure anti contagio mettono a dura la prova la filiera, concepita per un turismo di viandanti con regole morali sconosciute a molti. In epoca di distanziamento sociale e misure anti contagio l'estate 2020 dei rifugi del Veneto è un rebus ancora da risolvere. Abbiamo provato a entrare in questo mondo interpellando alcune figure chiave che lo popolano.
IL GESTORE

Mario Fiorentini, titolare del rifugio Città di Fiume sul monte Pelmo (Borca di Cadore), partiamo dalla domanda più semplice. Aprirete?
"Partiamo da un presupposto, anche gli organizzatori del Vinitaly pensavano di aprire regolarmente e poi si è visto com'è finita. Scherzi a parte, dire che certamente rimarremo chiusi è un errore. Ma anche che apriremo di sicuro. Qua cambia tutto ogni settimana".
Quindi?
"Noi crediamo che ci faranno aprire ma bisognerà ripensare tutto il sistema, con tutte le difficoltà del caso".
In che senso?
"Se i protocolli per l'attività ricettiva saranno tarati sugli alberghi a 4 o 5 stelle i rifugi saranno certamente penalizzati. E anche avvicinandosi a noi, si scopre che le differenze sono molte. Sarebbe come pretendere di piantare un ombrellone usato in spiaggia a Bibione anche sugli scogli della Sardegna".
Andiamo nello specifico. Quali sono le difficoltà principali?
"Il rifugio è il luogo di condivisione per eccellenza, fatto per accogliere tutti coloro che sono in giro in montagna, o perché stanchi, o per trovare riparo dal brutto tempo. Il concetto che più si avvicina è quello dell'ostello".
Non basterà adeguare le strutture e omologarsi al distanziamento sociale?
"Non è così semplice. Noi abbiamo l'obbligo di dare riparo alle persone. Non si può mandare via una comitiva, neppure se sei sovraffollato. Cacciarli da un rifugio può significare farli camminare altre tre ore. E quindi come si fa?".
Una specie di servizio di pubblica utilità.
"Essendo presidio di alta quota siamo le uniche strutture che possono garantire il ricovero in determinate situazioni. E' una esclusività di somministrazione di servizi, la nostra presenza è essenziale per il turismo di montagna".
Quali sono dunque i quesiti che le istituzioni dovrebbero chiarire?
"Se grandina e ho il locale pieno, devo accogliere chi arriva o lo devo mandare via? La legge della montagna dice che lo devo accogliere. Ma le istituzioni cosa ci dicono? Bisogna definire un protocollo che ancora non esiste".
Quanto è capiente il suo rifugio?
"Abbiamo 22 posti letto e 40 posti in sala da pranzo. Siamo sull'Alta Via numero 1 delle Dolomiti (si snoda lungo un percorso di circa 125 chilometri costituito da 12 tappe, che collega il Lago di Braies con Belluno)".
Come sono disposti questi 22 posti letto?
"Sono divisi in quattro stanze, con bagni promiscui. C'è una legge regionale che prevede i bagni promiscui ma ora come si possono gestire in periodo di coronavirus? Ci aspettiamo che le istituzioni si interessino del problema e ci diano delle regole".
Siete preoccupati?
"Abbiamo vantaggio: apriamo dopo alberghi e ristoranti. Quindi potremo valutare meglio. A proposito, sapete che il 20 giugno c'è l'obbligo di aprire i rifugi alpini? Io ho l'obbligo per motivi di servizio ma ancora non so come. E' complesso ma credo che una soluzione la troveremo".
In Veneto ci sono 62 rifugi, di cui 37 gestiti dal Cai. Complessivamente il comparto fornisce oltre 2 mila posti letto e oltre 3 mila a sedere.
LA CURIOSITA'
Non tutte le strutture sono di piccole dimensioni. Il rifugio Galassi, sotto l'Antelao, conta 99 posti letto. "E' una ex caserma della Prima Guerra mondiale" spiega Francesco Abbruscato, presidente dei Cai di Mestre. "Ridurremo di un terzo la disponibilità, anche per garantire la sicurezza di chi ci lavora. Quest'anno dovevamo festeggiare i 50 anni di autogestione. Ci toccherà rinviare la festa grande".
LA CATEGORIA

- Alessandra Magagnin, vice presidente dell'Agrav (associazione gestori rifugi alpini del Veneto), insieme al suo presidente Mario Fiorentini e agli altri associati, sta cercando di trovare delle soluzioni. "Prenotare diventerà una regola", dice. "Poi cercheremo di sistemare la gente fuori, fornendo magari pasti all'aperto. L'altro giorno abbiamo fatto una videoconferenza: eravamo in 40".
- Quello che più preoccupa i gestori dei rifugi veneti sono le diversità che caratterizzano tutte le strutture, un valore aggiunto in tempi di "pace", un ostacolo durante la guerra contro il coronavirus. Per raggiungere il rifugio Chiggiati, in Cadore, servono due ore di cammino e il cibo arriva con la teleferica. Il rifugio Telegrafo, in provincia di Vicenza, è a oltre 2 mila metri d'altezza. Esigenze diverse per il Posa Puner, sulle prealpi, in provincia di Treviso o per il Pranolz di Trichiana (Belluno), gestito da Alessandra Magagnin.
- "Ci sono tanti rifugi dislocati in posti diversi, stiamo attendendo di capire che regole ci daranno. Servirà flessibilità da parte nostra, negli orari soprattutto. Invece del solito 12-14 per i pranzi potrebbe essere necessario fare dalle 11 alle 16. Ecco, questa potrebbe essere la formula: flessibilità e prenotazioni. Se poi di domenica mi arrivano 300 persone, cosa fare al momento non lo so nemmeno io".
IL CAI

Poi c'è il Cai (Club Alpino Italiano), con 37 strutture gestite su 62 totali. Renato Frigo è il presidente della sezione veneta. "Tutti dovremo cambiare qualcosa. Programmazione prima di tutto, anche a discapito dell'effetto viandante", dice con pragmatismo. Perché c'è anche chi potrebbe pensare di mettere in collegamento tutti i rifugi attraverso una app. Ma per far funzionare la app serve la linea telefonica e in molte zone montane non è scontata.
"Chiediamo regole chiare, ci comporteremo di conseguenza. Stiamo cercando di creare un tavolo con la Regione Veneto e esperti di vario genere. Di certo sarà privilegiata la somministrazione dei pasti fuori dal rifugio ma le questioni da chiarire sono molteplici: le docce, i bagni, le stanze. Un punto è chiaro, noi ci vogliamo essere. Non si può pensare a una montagna senza rifugi".
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