Vocaboli, saluti e sorrisi mutati: tutti i tipi di linguaggio ai tempi del Coronavirus

Il linguista padovano analizza l’impatto del coronavirus sulla vita sociale delle persone che hanno rivisto il modo di comunicare 
Alcuni anziani con mascherina seduti in piazza Castello. Torino 08 ottobre 2020. ANSA/TINO ROMANO
Alcuni anziani con mascherina seduti in piazza Castello. Torino 08 ottobre 2020. ANSA/TINO ROMANO

PADOVA. Un evento così esplosivo per la nostra quotidianità, per la nostra vita sociale, per le nostre paure quale è la pandemia non poteva non riflettersi sul linguaggio, quello verbale e quello non verbale. Basti pensare al crollo di un segno di saluto signorile e amichevole come il darsi la mano; alla perdita del sorriso, o del ghigno, come accompagnatori del senso che diamo alle parole che pronunciamo, nel momento in cui parliamo mascherati; allo strapotere degli occhi come segnale di identificazione di un volto, di una persona.

Sul piano specifico della lingua, il Covid-19 si è pesantemente infiltrato nel lessico. L’elenco pubblicato in questa pagina esemplifica bene le strade che ha preso l’influenza del Covid sul nostro vocabolario: innanzi tutto ha provocato la cosa più prevedibile, cioè la creazione di parole nuove, che nell’occasione sono stati prevalentemente dei forestierismi: da Covid-19, che è un internazionalismo creato secondo uno schema standard dall’Organizzazione mondiale della sanità, a SARS-CoV-2, che cito anche se non è contenuto nell’elenco, per ricordare che il o la Covid-19 è il nome della malattia e SARS-CoV-2 il nome del virus;

e poi droplet, cluster, lockdown; la diffusione di sigle, provenienti da ambiti diversi (oltre alle già elencate, abbiamo Dpcm, Dad e anche Usca, che, confesso, mi era ignota); il recupero di parole dalla storia lunga e, fino a ieri, quasi sepolta, come quarantena, voce nata, nel nostro significato, a Milano nel tardo Cinquecento.

Notevole anche il trasporto nella lingua di tutti i giorni di parole scientifiche come asintomatico, indice di contagio, molecolare, negativizzato, sierologico, non sempre ben comprese dal parlante non specialista, ma talvolta anche terreno di scontro duro tra specialisti (come è il caso di asintomatico); tra queste parole vi sono anche i nomi degli stessi specialisti: ma tutti tra di voi sanno distinguere bene tra un immunologo e un virologo? Ma vi è anche un effetto sulla frequenza d’uso: tutti, o molti, conoscevano certamente parole come bollettino, curva, epidemia, focolaio, grafico, ondata, positivo, rianimazione, test, ma mai le avevano dette o sentite così spesso come negli ultimi mesi.

Ancora, parole note in altri ambiti sono diventate parole cardine dell’emergenza sanitaria, o delle polemiche che l’accompagnano, da tampone, e soprattutto il suo derivato tamponare, che ha abbandonato l’area degli incidenti stradali; zona rossa, in auge per esempio ai tempi del G8 di Genova; negazionista, traslato dall’area di chi nega recisamente la veridicità della Shoah.

Infine, mascherina: dalla bonarietà del detto tradizionale “Ti conosco mascherina” o dalla luce gioiosa del Carnevale è passata al buio della nostra realtà odierna, ed è anche diventata segnale divisivo che oppone quanti vedono nella copertura di naso e bocca un aiuto per conservare il più possibile la salute di tutti a quanti la considerano un simbolo di appecoramento di massa. 


 

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