Vocaboli, saluti e sorrisi mutati: tutti i tipi di linguaggio ai tempi del Coronavirus

PADOVA. Un evento così esplosivo per la nostra quotidianità, per la nostra vita sociale, per le nostre paure quale è la pandemia non poteva non riflettersi sul linguaggio, quello verbale e quello non verbale. Basti pensare al crollo di un segno di saluto signorile e amichevole come il darsi la mano; alla perdita del sorriso, o del ghigno, come accompagnatori del senso che diamo alle parole che pronunciamo, nel momento in cui parliamo mascherati; allo strapotere degli occhi come segnale di identificazione di un volto, di una persona.
Sul piano specifico della lingua, il Covid-19 si è pesantemente infiltrato nel lessico. L’elenco pubblicato in questa pagina esemplifica bene le strade che ha preso l’influenza del Covid sul nostro vocabolario: innanzi tutto ha provocato la cosa più prevedibile, cioè la creazione di parole nuove, che nell’occasione sono stati prevalentemente dei forestierismi: da Covid-19, che è un internazionalismo creato secondo uno schema standard dall’Organizzazione mondiale della sanità, a SARS-CoV-2, che cito anche se non è contenuto nell’elenco, per ricordare che il o la Covid-19 è il nome della malattia e SARS-CoV-2 il nome del virus;
e poi droplet, cluster, lockdown; la diffusione di sigle, provenienti da ambiti diversi (oltre alle già elencate, abbiamo Dpcm, Dad e anche Usca, che, confesso, mi era ignota); il recupero di parole dalla storia lunga e, fino a ieri, quasi sepolta, come quarantena, voce nata, nel nostro significato, a Milano nel tardo Cinquecento.
Notevole anche il trasporto nella lingua di tutti i giorni di parole scientifiche come asintomatico, indice di contagio, molecolare, negativizzato, sierologico, non sempre ben comprese dal parlante non specialista, ma talvolta anche terreno di scontro duro tra specialisti (come è il caso di asintomatico); tra queste parole vi sono anche i nomi degli stessi specialisti: ma tutti tra di voi sanno distinguere bene tra un immunologo e un virologo? Ma vi è anche un effetto sulla frequenza d’uso: tutti, o molti, conoscevano certamente parole come bollettino, curva, epidemia, focolaio, grafico, ondata, positivo, rianimazione, test, ma mai le avevano dette o sentite così spesso come negli ultimi mesi.
Ancora, parole note in altri ambiti sono diventate parole cardine dell’emergenza sanitaria, o delle polemiche che l’accompagnano, da tampone, e soprattutto il suo derivato tamponare, che ha abbandonato l’area degli incidenti stradali; zona rossa, in auge per esempio ai tempi del G8 di Genova; negazionista, traslato dall’area di chi nega recisamente la veridicità della Shoah.
Infine, mascherina: dalla bonarietà del detto tradizionale “Ti conosco mascherina” o dalla luce gioiosa del Carnevale è passata al buio della nostra realtà odierna, ed è anche diventata segnale divisivo che oppone quanti vedono nella copertura di naso e bocca un aiuto per conservare il più possibile la salute di tutti a quanti la considerano un simbolo di appecoramento di massa.
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