Zaia batte Salvini, il Veneto ora è al centro della scena

Degradato sul campo. Il voto di settembre si rivela ustionante per l’autoproclamato Capitan Salvini, smentito su tutta la linea prima di tutto dal suo elettorato.
Aveva praticato una sorta di guerra non dichiarabile a Zaia in Veneto, finisce con la lista del governatore che triplica i voti del segretario. Aveva pronosticato il cappotto o quasi nel complesso delle Regioni alle urne, ed è finita in pareggio. Aveva preannunciato la spallata alla roccaforte rossa toscana, e per la seconda volta dopo quella emiliana ha rimediato una lussazione alla clavicola. Voleva lanciare la Lega nazionale, e nel centrosud ha perso voti a favore della sua vera rivale di coalizione, la Meloni. Dal trionfo delle europee di un anno fa, il suo è un vistoso passo del gambero: che non rimarrà senza conseguenze né all’interno del centrodestra né nel suo stesso partito.
Nell’insieme, il voto è più un successo personale dei quattro governatori uscenti di Veneto, Campania, Puglia e Liguria che dei rispettivi partiti; nei confronti dei quali tra l’altro nessuno di loro è in piena sintonia. Il Pd comunque ne esce senza catastrofi (salvo il Veneto), specie considerando i mal di pancia della vigilia, e soprattutto mantiene la sua roccaforte toscana. Ne escono male i grillini, con una parabola la cui curva discendente si accentua dopo il picco di massima del 2018. Fratelli d’Italia, per contro, incrementa il suo patrimonio di consensi e porta a casa una Regione (le Marche), anche se incassa una secca sconfitta del candidato in Puglia. Forza Italia si affloscia sempre più, andando a occupare il ruolo che nella prima Repubblica spettava agli asteroidi dei partitini. Quanto ai consensi di Renzi, si rivelano più che mai inversamente proporzionali ai roboanti proclami.
C’è una novità da registrare: il Veneto, di norma marginale nel quadro elettorale nazionale, stavolta si installa al centro della scena. Lo deve al suo governatore Zaia, la cui lista personale ridicolizza quella della Lega, malgrado i goffi tentativi di Salvini di frenarne la corsa, e andando addirittura a sfiorare la maggioranza assoluta. Se a livello nazionale le liturgie politiche rimarranno (per ora) ispirate al vangelo secondo Matteo, in Veneto a far testo sarà quello secondo Luca. Sulla carta, Zaia potrebbe anche governare da solo; gli equilibri di rito gli imporranno una giunta composita, ma con la quota-Lega subalterna, e gli altri alleati assolutamente residuali. Quanto all’opposizione, se prima era inconsistente, oggi rischia di essere inesistente: il Pd veneto in particolare è riuscito a fare peggio di sempre, mettendo a nudo la propria fragilità. E i grillini rischiano perfino di restar fuori dall’aula.
Due parole sul referendum: pronostici rispettati, con la piena vittoria del sì. Ma se non verrà seguito dalle indispensabili riforme di sistema, soprattutto da riforme vere bloccate da decenni, sarà soltanto l’ennesimo tarocco. —
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