Minori non accompagnati tra ricordi, presente e sogni nel centro di via Zara

Si dividono tra lavoro, scuola e officina, nella speranza di una vita migliore. Fondamentale fare rete perché diventando maggiorenni non siano abbandonati

Gianni Belloni
Un laboratorio al centro per i minori stranieri non accompagnati dell'Arcella
Un laboratorio al centro per i minori stranieri non accompagnati dell'Arcella

Dalle finestre della palazzina di via Zara a Padova che ospita il Centro per minori non accompagnati, si intravedono le scarpette da calcio ad asciugare. Dei dodici ragazzi ospiti, adesso che è ora di pranzo qualcuno rientra da scuola, altri si incamminano verso la vicina moschea: oggi è venerdì, giorno di preghiera per i musulmani.

Domenica Anfal ha, come di consueto, la partita, ma questa volta sugli spalti a fare il tifo per lui, in provincia dove gioca in prima squadra, ci saranno i ragazzi e gli operatori del Centro.

Anfal e il sogno di fare il calciatore

Anfal è partito due anni fa dal Gambia ed è impegnato con i suoi tre allenamenti alla settimana e la scuola.

«Devo imparare meglio l’italiano» dice, anche se si esprime bene. In realtà, non parla solo della lingua: di Anfal si percepisce la spinta a fare meglio, a fare di più. Del suo viaggio per arrivare qui parla a fatica, distogliendo lo sguardo, «ho camminato diversi giorni» dice. Meglio parlare di calcio: il suo punto di riferimento è Musa Barrow, calciatore gambiano che ha sfondato e che ora gioca in Arabia Saudita.

Ed è lui, a sua volta, il punto di riferimento degli altri ragazzi: Anfal, grazie al calcio, riesce ad avere un piccolo rimborso spese, un segno tangibile di riconoscimento del suo impegno. Sono ragazzi cresciuti in fretta, hanno espressioni e sguardi più adulti della loro età, ma l’età è comunque quella e il calcio è un modo per tornare a giocare che il tempo dei giochi se l’è rubato il destino.

I cuccioli del Centro

Yossef Khalid e Islam vengono dall’Egitto sono i cuccioli del Centro, avranno 15 anni a fatica, arrivati da meno di un mese, tra di loro non si perdono di vista un minuto, vengono bonariamente redarguiti dalle operatrici – grazie a google traduttore dall’arabo – che ancora non hanno imparato a parcheggiare le bici nel posto giusto.

Piccoli, ma già vivono in due mondi: quello da cui provengono – sono costantemente in contatto con la famiglia – e il contesto in cui sono arrivati e in cui sono determinati a “riuscire” per avere l’approvazione e l’ammirazione di chi è rimasto a casa. Per alcuni la pressione e la sofferenza diventa eccessiva e “sbroccano”.

I minori non accompagnati rappresentano un segmento del movimento migratorio, dovrebbero essere oggetto di maggiori tutele e infatti ricevono un permesso di soggiorno temporaneo per minore età.

L’accoglienza dei minori non accompagnati

Dopo il consistente aumento registrato nel 2022-23, sono in calo e in Italia ad oggi sono presenti in meno di 17 mila, il Veneto ne accoglie il 3,6% mentre la Lombardia ne ha il 13,9% e la Sicilia il 21, 7%.

«In alcuni luoghi come Milano è emergenza, qui la situazione, dal punto di vista dei numeri, è tranquilla» racconta Sandro Ferretto, volontario della cooperativa.

Sono sostanzialmente tre le modalità di accoglienza dei minori: le comunità alloggio, i Centri di accoglienza straordinaria (Cas) per minori, e il Sistema di accoglienza e integrazione (Sai) gestiti dai Comuni. Purtroppo, come denuncia l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi) «sempre più ragazzi vengono collocati nei Centri di accoglienza straordinaria per adulti, come consente il decreto legge 133/2023, senza un’adeguata valutazione delle loro vulnerabilità».

«In alcuni territori come a Treviso l’accoglienza avviene in strutture come le caserme, a Padova per fortuna la parte del leone la fa la microaccoglienza come qui» racconta Tuninetti. In Veneto il sistema Sai che sarebbe quello più adeguato e strutturato, ne accoglie pochissimi – 77 in tutto, la Sicilia 1.637 – perché la direttiva politica ai Comuni amministrati dal centrodestra è di scoraggiare il sistema di accoglienza diffuso, con il risultato che nei Centri di accoglienza straordinaria, gestiti dalla Prefettura, il sindaco non entra e non può mettere becco sulla gestione.

L’inserimento nel territorio

«Lavorano con i tirocini formativi soprattutto nella ristorazione, uno di loro in un calzaturificio, abbiamo un buon rapporto con la scuola edile» racconta Paola Cosma, una delle operatrici «vanno a scuola, organizziamo laboratori, corsi di italiano, imparano a riparare la bici nella ciclofficina, ma vogliamo aiutarli a tessere relazioni anche fuori dai circuiti della migrazione e dell’assistenza e lo sport in questo è un veicolo formidabile».

«Faccio un esempio» racconta Elena Breda, altra operatrice del Centro «è grazie al contatto con un parroco che siamo riusciti a individuare un alloggio per un ragazzo diventato maggiorenne e al parroco siamo arrivati grazie alla squadra di calcio». Con lo scoccare della maggiore età le vicende si complicano: l’alloggio è spesso un miraggio per le tasche di un giovanissimo lavoratore neoassunto. Per questo tessere rete di conoscenza e fiducia diventa fondamentale.

 

Lamin, 17 anni, fisico atletico e una gentilezza antica, lascia raffreddare il pranzo pur di rimanere in cortile a raccontare, alternando italiano ed inglese, della partenza dal Gambia dove ha lasciato una vita tempestosa in famiglia, del viaggio e, poi del lavoro da meccanico che sta svolgendo in un’officina. La commozione è riservata ai suoi amici e ai suoi coetanei che non sono arrivati sull’altra sponda del mare. —

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