Tra pugilato e cronaca nera: l’uragano Carter
Rubin Carter ha attraversato la storia della boxe come un uragano. Ed è così, infatti, che è passato alla storia: con il soprannome Hurricane. Pioggia di pugni, vento nei piedi, la sua carriera...

Rubin Carter ha attraversato la storia della boxe come un uragano. Ed è così, infatti, che è passato alla storia: con il soprannome Hurricane. Pioggia di pugni, vento nei piedi, la sua carriera sportiva, di peso medio, si dipana negli anni Sessanta e si conclude con l’accusa di un triplice omicidio avvenuto a Paterson, nel New Jersey. Verrà condannato a tre ergastoli e la sua storia, che si conclude con una scarcerazione nel 1985 in odore di pregiudizio razziale, ha ispirato il volume firmato da James S. Hirsch e pubblicato in Italia dalla casa editrice 66thand2nd:
Hurricane. Il miracoloso viaggio di Rubin Carter
(25 euro).
Volume che ha poi a sua volta dato vita al film con Denzel Washington, che ha portato la storia del pugile afro-americano agli occhi dei più. Hirsch, giornalista preciso e accurato, racconta Carter ma anche la storia americana che gli gira intorno per oltre quarant’anni. E lo fa con stile asciutto, descrittivo quanto basta, senza lasciarsi trasportare dai dialoghi, ricostruiti, tra i protagonisti e dell’evidente carisma del pugile, che, in prigione, conduce una vita di studio e di negazione del regime carcerario. Ricorda un po’ il Capote di “A sangue freddo”, questo libro, che da un fatto di cronaca nera ha fatto nascere un capolavoro senza tempo. Unendoci il palmares pugilistico di Hurricane: 27 vittorie, 12 sconfitte e un pareggio su 40 incontri, con svariati knock out guadagnati grazie al suo stile aggressivo e al fisico imponente. «Quando gli omicidi del Lafayette ebbero luogo, Rubin Carter era un pugile professionista di ventinove anni e uno dei grandi personaggi dell’età dell’oro della boxe: un peso medio che braccava per tutto il ring gli avversari con un gancio sinistro minaccioso, lo sguardo torvo, il cranio completamente rasato che pareva una pallottola nera, due baffi che gli davano un’aria spaventosa e il pizzetto. Fuori dal ring… le divergenze le regolava a suon di pugni e non chinava il capo davanti alla polizia».
Non poteva che essere un caso giudiziario difficile, il suo, una delle battaglie legali che più divisero l’opinione pubblica, compresi nomi famosi come Muhammad Ali e Bob Dylan. La salvezza arriva da dentro, sembra suggerire la chiosa finale di Nelson Mandela: «Rubin si è risvegliato in prigione ed è diventato un uomo libero».
Annalisa Celeghin
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