A 10 anni dal grande restauro degli Scrovegni, l'ispezione sullo stato degli affreschi di Giotto

I colori sono ancora perfetti: a 10 anni dal restauro si può ammirare il pianto che solca il volto di alcune madri della "Strage degli innocenti"

PADOVA. Sono le 11 del mattino e la Cappella degli Scrovegni risplende illuminata dal sole; i giardini dell’Arena sono quasi deserti e lo staff dell’Istituto centrale del restauro è pronto per avviare il monitoraggio del capolavoro pittorico più straordinario al mondo, un primato che Padova contende a fatica e con gelosia ai frati francescani di Assisi e alla Cappella Sistina di Michelangelo a Roma. La domanda a cui si deve dare una riposta in cinque giorni è fin troppo banale: dopo 10 anni, gli affreschi sono ancora perfetti, oppure la polvere e l’umidità ne hanno intaccato lo splendore?

Andrea Colasio si consulta con Davide Banzato ed emette il suo verdetto con una battuta alla Sgarbi: «Guardate e stupitevi: le lacrime che solcano il volto delle madri straziate dal dolore nella Strage degli Innocenti sono ancora perfette, come nel 2002, quando sono riemerse con una forza espressiva drammatica durante il magnifico restauro coordinato dal professor Giuseppe Basile. Giotto ha rivoluzionato la pittura perché ha raccontato le emozioni e i drammi della condizione umana con un dinamismo che ha messo in archivio l’iconografia bizantina. Quelle lacrime sono vere come il pianto disperato di una mamma cui hanno ucciso il figlio: l’ uomo è l'elemento predominante e i volti vengono presentati in tutti i modi. Di profilo, di fronte, di spalle, dall'alto in basso. Giotto è un grande narratore che rende popolare la storia e l’epopea cristiana, con un linguaggio pittorico insuperabile: quelle lacrime mi commuovono», dice Colasio.

E allora non resta che osservare l’ispezione dell’Iscr: Francesca Capanna e Antonio Guglielmi salgono sul «ragno», mentre Valentina Piovan avvia la pulizia dell’altare dell’abside. La gru, che scorre su due rotaie, è un prototipo made in Veneto: l’ha realizzata una ditta di Bolzano Vicentino su commissione del comune di Padova nel lontano 2003.

«E’ stata una scelta operativa intelligente perché consente ai restauratori di pulire e monitorare con lo spettrofotometro in fluorescenza X tutti gli affreschi, senza montare le possenti impalcature di ferro con le assi: un salto tecnologico che rappresenta la migliore garanzia di salvaguardia dell’integrità della Cappella degli Scrovegni», spiega Davide Banzato, direttore dei musei. E il braccio del «ragno» si muove lentamente tra la magia dei colori e le volte stellate. Un viaggio in paradiso. Tra la cometa di Halley che compare nell’Adorazione dei Magi.

Poi Francesca Capanna posa il pennello sull’aureola dorata che ricopre gli angeli e la Vergine nella scena dell’Ascensione e infine batte con abilità e leggerezza le dita sull’intonaco, come un medico quando visita un paziente: il suono pieno impercettibile indica che l’affresco è incollato perfettamente alla parete e gode di ottima salute. Se invece «canta» come una botte mezza vuota allora scatta l’allarme e si interviene con la siringa per iniettare il collante e scongiurare il disastro.E’ emozionata la dottoressa Capanna quando ricorda l’impresa straordinaria del 2002: 10 mesi di lavoro non stop, restauro di giorno e diagnosi di notte. Cento esperti che si sono alternati senza gelosie e rivalità: «Quel restauro giudicato da alcun esperti forse troppo veloce, ha segnato in realtà la conclusione di dieci anni di analisi e di interventi programmati per mettere a regime la Cappella degli Scrovegni minacciata dall’inquinamento atmosferico e dal turismo di massa: quando si respira, si produce anidride carbonica che va eliminata. Ecco perché si entra in gruppi di 25 persone per turno».

E il blu stellato di Giotto che avvolge la cupola, resiste allo sfarinamento dell’azzurrite? Qui si svela un’altra pagina: l’azzurrite è una pietra importata da Cipro e dall’Asia dai mercanti di Venezia sulla via della seta, ma già i veneti antichi nel VII secolo apprezzavano l’ambra arrivata dalla Germania. Padova nel Trecento era ricca più di Venezia ed Enrico degli Scrovegni scelse la star del suo tempo: Giotto. Mai peccato d’usura fu ripagato da immortale capolavoro.

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