A Budapest, nei luoghi di Giorgio Perlasca

di Aldo Comello
Giorgio Perlasca, commerciante di bestiame comasco, con piazza degli affari in Ungheria, elegante nel tratto come può esserlo un italiano e latinamente disinvolto, negli anni tenebrosi del razzismo nazista, si “traveste” da console spagnolo, false lettere di credito, falso passaporto, e con una brillante impostura salva dallo sterminio più di cinquemila ebrei ungheresi. Rischia la pelle in questo teatro della beffa, gioca i nazisti tedeschi e i nyilas delle croci frecciate che rastrellano Budapest a caccia di israeliti, uomini, donne, bambini, destinati al lager. Compie un’impresa che gli farà meritare il titolo di Giusto delle Nazioni.
Sulle colline che circondano il Museo dello Yad Vashem è stato piantato un albero, simbolo di vita, a lui consacrato. Eppure tutta la sua storia non sarebbe mai emersa, sarebbe rimasta sepolta nell’oblio, se non fosse stato per la testimonianza di alcune donne ebree, strappate alle SS, che riconobbero in Jorge Perlasca il merito di averle sottratte alla morte. Un evento straordinario perché i salvati non sempre sanno a chi devono la vita e i salvatori che agiscono di nascosto non cercano certo di propagandare la loro attività con il rischio di essere ammazzati.
Perlasca fu un eroe inconsapevole, L’ispirazione ad agire gli venne d’istinto, reagì alla crudeltà con la solidarietà nei confronti di un’umanità calpestata, umiliata, ferita. Ci fu chi gli chiese perché si fosse impegnato in un compito tanto arduo, lui rispondeva: «Ma lei, avendo la possibilità di fare qualcosa, come avrebbe agito vedendo uomini, donne e bambini massacrati senza un motivo se non l’odio e la violenza?».
A suggello del suo libro “L’impostore” in cui racconta come riuscì a costruire una rete di soccorso nell’Ungheria asservita ai tedeschi, scrisse: «Vorrei che i giovani si interessassero a questa mia storia unicamente per pensare oltre a quello che è successo, a quello che potrebbe succedere e che sapessero opporsi eventualmente a violenze del genere».
Lui stesso sottolinea l’importanza della divulgazione, la sua storia infatti fa capire che, a volte, il coraggio e l’intelligenza di un uomo solo, possono influire sulla ruota della Storia, temperarne il movimento distruttivo.
La fondazione Giorgio Perlasca con l’appoggio della Regione Veneto, dopo un sopralluogo effettuato l’anno scorso assieme a una delegazione della comunità ebraica ha costruito una mappa di Budapest che comprende i luoghi rilevanti per l’attività di Giorgio Perlasca soprattutto nell’inverno e nella primavera del 1944: le case protette che ospitavano gli ebrei, gli alberghi come l’Astoria da cui il futuro console spagnolo sfuggì per un soffio, avvertito da una telefonata, a un’incursione tedesca, il New York dove è stato girato il film “L’Impostore”. Il percorso nel territorio della grande città magiara dà rilievo plastico e aumenta la suggestione della storia. I risultati di questo lavoro saranno diffusi nelle scuole del Veneto, un grande affresco della memoria, un vangelo della resistenza ai soprusi contro l’umanità.
L’incipit della gra. nde avventura di Perlasca parte dalla collaborazione con l’ambasciatore spagnolo in Ungheria, Sanz Briz che prima di lasciare l’incarico gli fornisce tutta la falsa documentazione che lo accredita come console. Nel suo lavoro di soccorso si aprono finestre su un’atrocità organizzata da brivido: una mattanza che decima la popolazione ebraica in Ungheria. Degli 800 mila figli di Israele, appena 200 mila sopravvivono alla persecuzione.
In una notte d’inverno sulla riva del Danubio, di fronte al Caffè Negresco, si sentono spari e grida d’aiuto. La mattina dopo la neve è rossa di sangue, cadaveri nudi legati per i polsi due a due, sul Danubio galleggiano centinaia di corpi. L’attività di Giorgio Perlasca diventa frenetica: lettere di protezione che certificano l’appartenenza dei perseguitati alla comunità spagnola, falsi passaporti, visite alla stazione per strappare all’ultimo momento le vittime alla deportazione. «Erano trattati molto peggio del bestiame che io commerciavo» ricorda Perlasca. L’opposizione spagnola alla persecuzione razzista degli ebrei ungheresi aveva un fondamento storico: Primo de Rivera aveva concesso la cittadinanza spagnola ai sefarditi cacciati da Isabella di Castiglia. Tutto questo in qualche modo contava e poi Giorgio aveva messo in piedi un’organizzazione solida, tutelando le case protette e con una efficiente rete di sorveglianza.
Perlasca ricorda il suo incontro con Adolf Eichmann che in tre mesi, dall’aprile del 1944 aveva avviato ai campi di sterminio 300 mila ebrei ungheresi. Hannah Arendt definisce Eichmann l’incarnazione della banalità del male, un uomo grigio, un contabile della morte. A Budapest il carnefice è esaltato dall’euforia della caccia e alla determinazione di Perlasca che vuole impedire il rastrellamento di un gruppo di bambini risponde puntando la pistola, ma, di fronte alle credenziali del console, deve rinunciare. Dopo il crollo del nazismo Perlasca rientra in Italia, la famiglia è a Padova, lui ha una casetta a Maserà. Per molti anni la sua vicenda resta segreta, finchè anche quest’uomo forastico capisce che è importante farla conoscere.
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