A San Camillo l’accoglienza è sempre di casa

FORCELLINI. Arrivano a Padova da tutt’Italia, ma soprattutto dal Sud, perché sperano in una guarigione. Ogni anno, gli ospiti della Casa di accoglienza San Camillo sono circa un migliaio. Mamme, fratelli, mogli di pazienti ricoverati in ospedale spesso a lungo.
In quasi 15 anni di attività, la struttura ha ospitato oltre 13 mila persone, partite da casa spesso senza sapere quanto sarebbero state via, lasciando il lavoro, a volte affidando i figli a parenti, se necessario portandoli con sé. Se vengono qui è perché a casa loro non trovano le cure di cui hanno bisogno. «Il prossimo 15 novembre» spiega padre Roberto, il parroco di San Camillo, «in occasione della festa della Madonna della Salute, celebreremo 15 anni di attività».
Al momento della fondazione offriva sette posti letto, divisi in tre stanze col bagno e un’ampia sala da pranzo con cucina. Attualmente i posti sono 24 in 12 stanze. La casa di accoglienza è gestita da una ventina di volontari, coordinati dall’instancabile Maria Vittoria. La pulizia delle stanze e del bagno è affidata agli ospiti, come quella della cucina, quando viene usata, mentre quella degli spazi comuni è curata dalle volontarie.
La sera spesso gli ospiti della casa cucinano e cenano insieme. Alessandro, uno dei volontari (nome di fantasia su sua richiesta, in ottemperanza al Vangelo: «Non sappia la tua mano sinistra ciò che fa la tua destra»), spiega: «Si tocca con mano il bisogno di scaricare la fatica e la tensione della giornata passata ad accudire i propri parenti malati. Nascono così amicizie profonde, destinate a durare negli anni».
Vale per tutti la testimonianza di un ex ospite, pugliese. «L’idea di lasciare la mia casa e le mie cose per andare in una città completamente estranea mi ha inizialmente terrorizzato. Ho trovato il sorriso, l’incoraggiamento reciproco, la disponibilità sollecita e generosa. Ho trovato una famiglia». Oppure quella di una bambina: «L’anno scorso in questo periodo sono stata vostra ospite perché il mio papà era in ospedale malato di cancro, ed io ero lì con mia madre, insieme a tante persone che per lo stesso motivo erano lì. Io prego per loro, augurandomi che per loro sia andato tutto bene. Per noi invece no, non è andata bene: il mio papà è morto nel mese di novembre. Forse vi chiederete perché vi scrivo; non lo so nemmeno io, forse perché non vi ho dimenticati e voglio ringraziarvi per tutto».
L’idea di partenza era offrire ospitalità ai parenti dei malati, ma sempre più spesso vengono ospitati i pazienti stessi, perché i tempi di degenza sono sempre più stretti.
«È un problema grosso», spiega Alessandro, «perché non abbiamo le strutture né il personale per una eventuale situazione di emergenza. Ma siamo a due passi dalla Croce Verde e dall’ospedale. E abbiamo aperto loro le porte. Queste persone devono rimanere a Padova per proseguire le terapie post-operatorie. E dove li mandiamo? In albergo? Poi qui hanno la cucina a disposizione e possono seguire una dieta particolare».
Anche perché lo scopo esplicito della casa di accoglienza è dare ospitalità ai più poveri. Il soggiorno nella casa costa 15 euro al giorno, ma capita che, in casi estremi, l’ospitalità sia totalmente gratuita. Ma come individuate i più bisognosi? «Noi lo diciamo», risponde Alessandro, «poi lasciamo a loro». Accoglienza, in fondo, è anche questo.
Madina Fabretto
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